Traversata della Foresta Nera - Westweg, Germania e Svizzera
- Dott.ssa Elisa Allocco

- 7 mag 2023
- Tempo di lettura: 31 min
Aggiornamento: 9 lug 2024
Arrivo nella città di Pforzheim.
Ed eccomi qui, dopo aver cambiato 3 treni di cui l’ultimo rincorso con la massima fiducia fino all’ultimo respiro ansimante in gola ma ahimè perso con altrettanta mera rassegnazione negli occhi: un totale di più di 6 ore di viaggio, con partenza da Lugano.
Un arrivo oramai all’imbrunire, mentre incalzo i miei primi passi sotto il cielo plumbeo e irriverente della città di Pforzheim, la porta “dorata” della regione di Baden-Württemberg, così insignita dal popolo tedesco in quanto vanta il titolo di più importante centro industriale della Germania per la produzione di gioielli e orologi.
Pforzheim offre un accesso privilegiato alla concubina Foresta Nera, famosa in tutto il mondo con il nome di Schwarzwald, con cui condivide come figli prediletti, 3 fiumi: Enz, Nagold e Würm.
Una cena veloce in un ristorante nella piazzetta principale che trovo poco dopo l’uscita della stazione ferroviaria per poi rifugiarmi per la notte in un alberghetto a circa un chilometro dall’inizio del Westweg, il “Sentiero Occidentale” che da domani mi condurrà, in circa 2 settimane di cammino, verso sud attraverso fitte foreste incantate e potenti torrenti, fino alla destinazione finale, la città di Basilea.
La sera prima della partenza per un cammino vivo sempre una formicolante sensazione, una sorta di movimento vizioso e rotondo tra l’irrequietudine e l’adrenalina.
Mi ricorda un pò quel movimento interiore ma anche fisico di quando si è bambini e si è combattuti simultaneamente dentro la mente e dentro al corpo tra il cercare di resistere a tutti i costi a restar svegli per vedere Babbo Natale arrivare, e l’addormentarsi in fretta perché la notte passi in un batti baleno e la mattina ci sorprenda felici e impazienti con i suoi mille doni da scartare.
Un ultimo sguardo di coraggio verso lo zaino che fiero e pronto sarà il mio unico compagno di viaggio, e spengo la luce.
Domani si parte.
1 Tappa: Pforzheim - Dobel
Suona la sveglia: con un balzo apro la tenda della camera sperando nel miracolo del “si ma ogni tanto non ci azzeccano con le previsioni” ma purtroppo il cielo è bello carico e non promette nulla di buono.
Colazione e parto. Fuori ci sono 14 gradi.
I chilometri che mi separano dall’inizio del sentiero sono lungo uno dei tre fiumi che confluiscono nella città: il Nagold.
Una statua in pietra con due elfi del bosco “a cavallo” di una lumaca sono il memento ad incominciare fin da subito a rallentare: non parlo ovviamente dei passi ma della mente. Lo stacco dalla vita frenetica al sentiero mette istantaneamente in luce quanto l’allineamento mente-corpo e anima siano una pratica dismessa e una prerogativa totalmente assente al nostro modo di vivere “cool e moderno”.
Incomincio allora proprio da qui a riprendere consapevolezza dell’importanza di percepire la troppa velocità dei miei pensieri per barattarla a favore della sintonizzazione con la migliore “radio FM” che ci hanno messo a disposizione sull’emittente “pianeta terra”, e pensa un po’ pure gratis, che si chiama “radio natura”.
Allo scoccare delle 10 in punto una pioggia dapprima finissima e poi sempre più fitta e insistente mi si scaraventa contro. Eppure scelgo scientemente di ignorarla rimanendo impassibile e incollata con tutti i miei sensi a guardare la bellezza spiazzante delle mille sfumature dei muschi, ad ascoltare le miriadi di uccelli che cantano senza tregua e a odorare gli inebrianti profumi della primavera che sboccia potente nei fiori che crescono spontanei e liberi lungo il ciglio del sentiero.
Non posso che affidarmi con fiducia al mantra “partenza bagnata, partenza fortunata”.
Mi imbatto poi nel secondo monito a tema “rallentare”: un lumacone gigante, viscido e molliccio è intento all’attraversamento del sentiero: intuisco che devo rallentare ancora di più e a farmelo capire è proprio lui perché è fermandomi a fotografarlo che quando riprendo la via mi rendo conto di essermi persa! Torno indietro di circa un chilometro e mi accorgo che ho mancato ad un incrocio la segnaletica: sono ancora troppo immersa nei pensieri e poco presente a me stessa.
Costeggio il fiume in modalità serpentina ma in realtà più simile ad un salmone che risale impavido la corrente: la mia direzione è infatti nel senso contrario rispetto allo scorrere dell’acqua che scivola fragorosa verso Pforzheim.
Arrivo poi alle rovine del castello di Neuenbürg che troneggia sull’imponente collina. Da qui lo sguardo spazia fino alla piana del Reno che a malapena però intravvedo a causa della foschia.
Un favoloso caffè nel baretto che trovo sotto al castello tra le case colorate affacciate sul fiume e dove scopro che il proletario è napoletano e vive in Germania da 50 anni. Scambiamo quattro chiacchiere e riparto.
Il sentiero che corre stretto tra la foresta di pini mi spinge con ritmo costante verso gli ultimi 10 chilometri fino alla città termale di Dobel dove mi fermo per la notte.
Ad accogliermi l’Hotel Pension Heidi a super conduzione familiare ma grazioso e pulito.
Ceno alle 18 in punto, integrandomi perfettamente alle usanze locali, in un minuscolo bistrot lungo la strada principale nonché l’unica del paese: un immenso piatto di verdure e le immancabili kartoffeln in versione crocchetta di rösti: e certo perché non può esistere un piatto in Germania che non le preveda.
La proprietaria e cuoca incarna lo stereotipo per eccellenza che tutti gli esseri umani hanno in mente quando pensano ad una donna “crucca”. Chiacchierona e di una simpatia contagiosa impazzisce letteralmente quando scopre che sono Italiana e decide di andare a tutti i tavoli per comunicare che stasera c’è una “Italienische Dame”. In un secondo divento l’attrazione del locale mentre cerco di sprofondare velocemente sempre più sotto al tavolo.
Con una puzza di fritto impregnata su ogni cosa che indosso da far invidia alla miglior sagra di paese, percorro gli ultimi 500 metri dei 30 chilometri di oggi pregustandomi l’idea di tuffarmi nel meritato morbido e caldo letto.
2 Tappa Dobel - Forbach
Oggi attraverso fruscianti foreste di conifere, cime paludose e profonde valli fluviali. Peccato per alcuni punti panoramici che per via della pioggia e della nebbia mi impediscono la visuale sulle montagne circostanti lasciandomi un pò a bocca asciutta.
A fine colazione la proprietaria della Pension Heidi mi appoggia sul tavolo una coccinella di cioccolato di buona fortuna quasi come scusa per attaccarmi un pippotto di 5 minuti per rassicurarmi che non sono sola, che sul sentiero ci sono anche le persone che vedo nella sala e che stanno facendo colazione qui con me, bla bla bla.
Io come caduta dal pero mi guardo attorno attonita e capisco che il suo discorso ha attirato l’attenzione di tutti su di me e per la seconda volta, dopo ieri sera, vorrei sprofondare sotto al tavolo o teletrasportarmi su Venere.
È evidente che dopo il discorso per le elezioni locali della Presidentessa di Pension Heidi, essendo stati tirati in causa indistintamente, si sentono tutti in dovere di sostenerla ed io, d’altro canto, mi trovo nell’imbarazzante situazione di dover dare risposte e spiegazioni sul fatto che sia una mia scelta, che VOGLIO camminare da sola e che ho la persona che amo che mi aspetta tra 2 settimane a Basilea. That’s it e viva la privacy.
Uscita da Dobel trovo la porta di inizio sentiero: la strada sale fin da subito ripida su sentieri rocciosi in direzione dell’altopiano del Kaltenbronn.
Il tasso di umidità oggi è dell’89% in pappa alla Foresta Amazzonica.
La prima ora di cammino è sponsorizzata da un timido sole che mi regala un barlume di speranza sull’andamento della giornata. Macché. Alle 10, puntuale come un orologio, sento un tuono in lontananza, il sole scompare, e dopo pochi minuti arriva la pioggia a catinelle.
A dire il vero con il cielo più chiaro e in contro luce, mi rendo conto che in realtà anche quando non sembra piovere c’è comunque una costante e intangibile pioggerellina nell’aria: e i miei capelli cotonati e lanosi al punto giusto per imbottire un intero materasso, ne sono la prova.
Oggi è un continuo mettere e togliere la giacca da pioggia che sì ha l’evidente funzione di proteggermi dell’acqua ma che, quando di pioggia non ce n’è, diventa peggio di un sudario.
Mi sembra un pò di essere la protagonista del film Karate Kid con il maestro Miyaghi che mi intima “metti la cera, togli la cera”.
A fine mattinata vedo una lumachina minuscola, piccola come l’unghia del mignolo, esattamente in mezzo al sentiero mimetizzata nella ghiaia e penso: ma come ho fatto a vederla? È l’ennesimo monito alla lentezza?
Poi però rifletto sul fatto che, in realtà, è così piccola e l’ho vista lo stesso perché forse i “grandi” messaggi non servono più e anzi sto iniziando pian piano a sintonizzarmi con il mio sé.
Ci voglio credere.
I grandi massi di granito intanto mi accompagnano fino all’Hohloh, un piccolo lago palustre in mezzo alle torbiere tedesche che caratterizzano questo tratto della Foresta Nera.
Arriva poi la salita verso il Kaltenbronn che mi sfianca letteralmente: sento in bocca il sapore salmastro del sudore che mi scende copioso dalle tempie e dalla fronte ma non voglio piantarmi a metà perdendo il ritmo e continuo imperterrita.
Arrivata in cima grondante, trovo ad aspettarmi una panca di metallo che sembra essere asciutta: sgancio i 10 chili di zaino dalle spalle praticamente lanciandoglielo sopra e intanto lascio cadere il corpo, sfatta.
Da qui posso finalmente ammirare le torbiere e riprendere fiato.
Mi aspetta subito dopo una ripida discesa di 7 infiniti chilometri attraverso la selvaggia valle di Murgtal su un sentiero di sassi bagnati e ricoperti di malefico muschio che porta la tensione di polpacci e quadricipiti alle stelle. Nel cercare di barcamenarmi tra i sassi e la scarpata per rimanere in equilibrio sono obbligata a frenare per tutto il tempo della discesa sbattendo violentemente e continuamente con le punta delle dita il fine corsa negli scarponi finché, a metà discesa, inizio a sentire un bruciore da frizione al piede destro.
Arrivo finalmente a Forbach pressoché distrutta. A mezz’ora dal centro del paese non resisto alla vista di una panca, mi siedo e tolgo scarponi e calze: i piedi sono roventi e una simpatica vescica mi saluta inferocita. Che felicità!
Busso alla locanda dove mi fermo per la notte, mi apre la giovane coppia di proprietari.
Li imploro di farmi una lavatrice perché io mi devo rintanare in camera a curarmi le ferite di guerra: inizio così a spalmarmi compulsivamente Arnica e Lasonil dappertutto come se stessi mettendo la crema protettiva su tutto il corpo pronta per andare a prendere il sole al mare. Finito con la crema mi occupo della nuova coinquilina, la vescica.
Ceno nella locanda e meno male perché fuori diluvia e non voglio fare più di 10 metri.
Per cena? Si certo, ci sono anche qui le Kartoffeln accompagnate da zucchine e da una caprese con fragole come antipasto. Mi adeguo. E in fondo stasera potrei anche mangiare le gambe del tavolo per cui va bene tutto!
Dopo cena riesco a elemosinare un cuscino aggiuntivo che abbia un minimo di consistenza invece che questi odiosi cuscini tedeschi con cui litigo tutte le notti sprofondandoci dentro la faccia.
Stasera mi rifiuto di guardare le previsioni meteo. Mi affido all’universo. Amen.
3 Tappa Forbach - Mummelsee (Seebach)
Stamattina entro nella sala colazioni con lo sguardo affranto e rassegnato. Fuori il tempo è dinuovo pessimo.
La proprietaria mi dice che l’anno scorso a maggio la pioggia è stata incessante giorno e notte e che adesso il meteo va bene per percorrere la Schwarzwald.
Mi tocca ridimensionare il mio stato d’anima e mi sento quasi in colpa per non aver pensato che in realtà fossi fortunata per questa pioggia intermittente che a quanto pare, per gli abitanti della Foresta Nera, è sinonimo di “bel tempo”.
È proprio vero, d’altro canto, che quando accade qualcosa di brutto o inaspettato nella nostra vita la tendenza è spesso di viverlo come se fosse la peggior cosa che potesse succedere e si inizia a vedere tutto “nero” a volte dimenticandosi che può esistere un nero ancora più nero, appunto.
E così stamane ricevo la prima lezione di vita della giornata: imparare a ridimensionare ciò che mi capita e che vivo con la giusta misura e il giusto peso.
Oggi il maestro Miyaghi è spazzato via dalla scena perché la giacca la indosso la mattina partendo e la tolgo solo il pomeriggio all’arrivo quando, ovviamente, smette di povere. Anzi, oggi sono anche costretta a mettere i pantaloni da pioggia perché l’acqua scende davvero a secchiate.
Il crinale principale della Foresta Nera oggi chiama! Nella sua terza tappa, il Westweg avanza attraverso il Badenerhöhe, l'Hochkopf e infine l’Hornisgrinde, la montagna più alta della Schwarzwald.
II clima è notevolmente più rigido dei gironi scorsi: quando arrivo ad un bivacco sulla prima vetta c’è un termometro appeso alla parete esterna che segna 5 gradi. Mi metto anche il berretto di lana.
Le 3 importanti salite e altrettante discese di oggi diventano, con la pioggia, impegnative ed estenuanti anche per via delle continue pietraie ma la bellezza delle foreste che attraverso tiene alto l’animo e compatto il corpo.
Nell’ultimo tratto della tappa il sentiero inizia a scendere progressivamente verso Unterstmatt, località fantasma che pare però diventare in inverno meta ambita per gli sciatori.
Qui attraverso un rustico paesaggio di torbiere e brughiere fino ad arrivare al lago Mummelsee, nella località di Seebach, dove ho pernottato nell’omonimo Rifugio che è un’istituzione per la regione in cui si trova.
Tra pioggia e freddo mi rendo conto di aver scattato poche foto durante la giornata.
Al Berghotel Mummelsee mi regalo un massaggio, perché l’albergo è famoso anche per l’area termale e la spa e lo ricevo dalla crucchisisma Karina che mi massaggia e al contempo mi intrattiene raccontandomi tutta la sua vita da 8 generazioni ad oggi mentre mi snoda anima e corpo. Accetto il fio da pagare ascoltandola e cercando di risponderle con senso visto il bene che mi sta facendo anche se vorrei solo abbandonarmi al silenzio.
Dei tanti camminatori visti a colazione stamattina, non ne incontro neanche uno a cena. Essendo tappa fissa e visto il tempo infausto probabilmente molti hanno desistito? E in ogni caso non ho visto nessuno sul sentiero di oggi.
Comunque una cosa è certa: la Foresta Nera viene attraversata solo dai tedeschi. Anche stamattina a colazione l’unica lingua parlata era, appunto, il tedesco.
Non so se sia un bene o un male ma mi sento l’unica pazza italiana a tentare l’impresa. Pure da sola (memento Pension Heidi!).
E arriviamo al fatidico e attesissimo momento della cena di ogni fine tappa in cui mi viene fuori l’istinto atavico dei miei avi dell’era paleolitica.
Allora, premetto che gli gnocchi per me sono quelli fatti in casa e non li prenderei mai al ristorante ma: il cameriere me li loda come la specialità della casa accompagnati poi con gli asparagi bianchi altrettanto tipici in questa zona e quindi imperdibili.
Ah si, quindi ancora Kartoffeln? E che si fa? Si prendono. Così come credo mi prenderò una pausa dalle Kartoffeln nei prossimi giorni.
Gute Nacht. Crollo nelle braccia di Morfeo.
4 Tappa Mummelsee (Seebach) - Alexanderschanze
Stamane sbatto forte la faccia in un muro di nebbia densa e gelida. Almeno non piove, ed è già qualcosa, anzi, tanto!
Prima di lasciare l’albergo chiedo al ragazzo della reception se ogni tanto da queste parti si veda il sole e mi risponde con enfasi “sometimes, sometimes”.
Dal sorriso sulle sue labbra capisco che si tratta di un evento eccezionale. Ne prendo atto.
Parto con tutto quello che posso mettermi addosso lasciando solo occhi e naso scoperti. Fa davvero freddo.
Dopo 5 chilometri di salita costeggiando gli impianti di skilift che in questa zona spuntano come funghi, arranco sù sempre più sù sulla montagna. Dopo una curva larga mi trovo davanti un cartello in tela che recita: “questo sentiero è chiuso stagionalmente per proteggere la fauna selvatica autoctona… periodo di blocco 15/11 - 15/5”.
Sperando che la fauna non ne faccia un dramma segnandolo alla guardia forestale per i 4 giorni che mancano al 15 maggio e, inoltre, rifiutandomi di tornare indietro per più di 1 ora e mezza dopo la fatica che ho fatto, decido di proseguire.
Passo davanti allo storico Darmstädter Hüytte aperto nel 1926 per poi iniziare un tratto di torbiere inzuppate letteralmente d’acqua. Mi ricordano quelle attraversate in Norvegia la scorsa estate. Per fortuna questi scarponi reggono molto meglio.
Oggi risalgo per quasi tutto il tempo lungo i sentieri veramente come fa un salmone selvaggio controcorrente. La maggior parte di essi, infatti, per via della pioggia scesa in questi giorni e soprattutto di quella di ieri sono diventati rigagnoli impazziti che scendono compulsivamente verso valle. Talvolta mi sembra di camminare nel letto di un fiume.
E poi la magia: poco prima delle 13 mi sento illuminata da uno spiraglio di sole: posso sentire il suo tepore attraverso i vestiti. È una sensazione incredibile che si ripercuote anche sul mio umore. Inizio a sorridere come un ebete aumentando anche il passo.
Per quasi dure ore il cielo si spacca in due versanti: uno azzurro e soleggiato, uno cupo e minaccioso. Per fortuna il primo è quello che cammina con me.
Oggi è ufficialmente la giornata dei cuori. Ne ho incontrati molti anche nei giorni scorsi ma oggi è un continuo scandire, ora dopo ora, i miei passi.
Oggi ho anche la conferma che il sole nella Foresta Nera esista: ha un fare timido sì ma c’è e come mi capita spesso di dire, oggi avere il sole “dalla mia parte” dopo tre giorni di pioggia è valso il viaggio.
Mi sento ammagliata dalla sua luce e piena della sua energia come se lo avessi incontrato per la prima volta.
E così il sole illumina, ad uno ad uno, i profili dei crinali delle montagne che segnano con armonia l’orizzonte. Che poesia. La Schwartzwald si mostra davanti a me con una magnificenza è una potenza che mi si accende nel petto per spargerai in tutto il corpo.
Provo a contare le sfumature di verdi che le diverse altitudini delle montagne generano e mi perdo.
L’ultimo tratto del WestWeg è una vera propria latrina per fortuna senza tanfo. Gli scarponi affondano nel fango misto all’acqua e mi sembra di camminare sulle sabbie mobili.
Scatto una foto rispecchiandomi in una pozza e penso a quanto sono stata fortunata oggi. Dovrei sicuramente essere più grata alla vita. E qui bastano due ore di sole per capire che ci sono tantissimi motivi per essere grati ogni giorno e soprattutto per le piccole cose.
Stasera sono ospite in una Guesthouse gestita da una coppia strepitosa: lui Chef, lei Meître.
Stasera niente Kartoffeln ma insalata con gamberi e sformato di zucchine e pomodoro.
Diciamolo: siamo in Germania… ma i piatti erano fatti con cura e serviti con amore. A volte basta questo. E stasera è stato tutto.
Per viziarmi un bicchiere di Pinot Grigio tipico della zona e via.
Ah dimenticavo! Mentre ceno mi si avvicina un camminatore incontrato 2 giorni fa. Sopravvissuto!!! Anzi sopravvissuti perché dopo qualche minuto arriva un’altra camminatrice. Li avevi lasciati a cena e colazione in tavoli singoli due giorni fa e stasera si siedono in un bel tavolo romantico per due ridendo e scherzando. Felice per loro. Ognuno nel cammino (della vita) va cercando ciò che lo rende unico e completo.
Io aspetto Basilea ❤️
A fine cena mi siedo per un caffè davanti al camino e sorrido alla vita con la faccia rovente ma non dal fuoco che ho davanti ma dal (poco) sole di oggi che alla fine ha illuminato anche me.
5 Tappa Alexanderschanze - Harkhof
Ormai, lo ammetto, mi sto abituando a vedere il grigio fuori dalla finestra appena sveglia anche se la chiamerei più “convivenza metereologica forzata ma pacifica”.
Quando lascio la Guesthouse stamattina non piove e una cosa l’ho imparata: che se non piove è già una vittoria.
Bosco, bosco, bosco: questo è il “leitmotiv” della giornata.
Cammino dentro un solitario crinale boscoso che si estende praticamente per tutta la tappa da Alexanderschanze ad Harkhof correndo silenzioso lungo il bordo della valle.
È il primo tratto davvero ipnotico della Foresta Nera. Per quasi 5 ore le conifere mi spingono e costringono a rimanere dentro ai stretti bordi del sentiero che si allarga solo in pochi tratti. Anche quando alzo lo sguardo a mala pena intravvedo il cielo da quanto fitti siano gli alberi: sono come inghiottita dalla foresta ma la sensazione in realtà è di totale pace con i mille uccellini che mi fanno da “surrounding”.
Arrivo al belvedere di Bad Griesbach ma c’è troppa nebbia e riesco ad intravvedete le cime solo a spizzichi e bocconi.
Questa zona è famosa per il parapendio e il deltaplano. Dal poco che riesco a vedere credo sia magico volare quassù. Attraverso poi una zona protetta di picchi con le loro mille casette sugli alberi.In questa parte settentrionale del Nationalpark Schwarzwald vive la maggior parte delle specie.
Si possono trovare il Picchio nero, il Picchio verde, il Picchio rosso mezzano, il Picchio rosso maggiore e il Picchio tridattilo. Non li riesco a distinguere ma li seguo saltare velocissimi da un tronco all’altro.
Da qui in poi il Westweg rimane sulla cresta fino alla cima Lettstädterhöhe. Sotto l'ampio altopiano si trova il bellissimo lago Glaswaldsee.
Ritrovandomi davanti ad uno dei soliti bivi dalle mille direzioni vedo sul cartello informativo la foto di un orso. Leggo sotto che “Il parco Rippoldsau-Schapbach offre agli orsi e ai lupi non curati in modo adeguato alla specie una nuova casa naturale. Gli animali vivono in un terreno recintato di 10 ettari e si sentono di nuovo molto a loro agio”. Ok nessun inutile terrore. Proseguo.
Alle 15.30 il panorama si apre all’improvviso e arrivo al rifugio di montagna di Harkhorf Vespertube nel bel mezzo del nulla. Oggi è una tappa di defaticamento con dislivelli contenuti che mi permettono di aumentare il ritmo e arrivare presto a destinazione.
La tappa finisce qui ma il rifugio non offre da dormire.
Aspetto allora il proprietario della Guesthouse dove alloggerò stasera che mi viene a prendere dato che il posto si trova in un paesino a 8 chilometri fuori dal percorso.
Salita in auto cerco di fare quattro chiacchiere ma niente, l’inglese qui non lo sa nessuno. Neppure la sorella che gestisce la Pensione spiaccica una parola. Allora mi viene naturale, usando il translator sul cellulare, chiedergli: “scusi ma come fate con gli ospiti stranieri?” e lui mi risponde “il fatto è che la Schwarzwald la fanno solo i tedeschi!”.
Ora è chiaro, non gliene frega niente di parlare l’inglese perché non ne hanno bisogno! Ecco ora ne ho la conferma ufficiale. Sono una camminatrice anomala per la Foresta Nera.
Continuiamo quindi a comunicare a gesti e usando il translator del telefono per definire la logistica del mio arrivo, della colazione etc finché non compare la fidanzata Polacca che asserisce di sapere qualche parola di inglese. La mia salvezza!
Contratto con lei una lavatrice a max 30 gradi mimando per sicurezza il numero anche con le dita: lo so sono ossessiva compulsiva ma non posso rischiare danni agli unici vestiti che ho con me.
Anche se ci sono parecchie casette attorno al paese, sulla strada principale ci sono solo 1 benzinaio, 1 minigolf e 1 ristorante, chiuso.
Quindi dove ceno?
Il proprietario mi dice che mi può accompagnare con l’auto in un posto a 3 chilometri da qui e solo dopo le 19 ma non riesco a capire perché insista così tanto sull’orario. Poi mi fa cenno di seguirlo ed entriamo nella stalla, vedo le mucche mentre lui mi mima il gesto della mungitura. Ah certo prima il latte, poi può accompagnarmi al ristorante. Non fa una piega. Aspetterò.
Quando salgo nella mia camera super spartana ma pulita e ordinata con le tende dell’ante guerra bianche ad uncinetto, i mobili della nonna Belarda e i sanitari in colore beige che non vedevo da trent’anni, mi rendo conto che è proprio sopra alla stalla. Di certo saprò quando saranno state munte le mucche stasera.
6 Tappa Harkhof - Hausach
Piccolo recap sulla serata di ieri. Antefatto: alle 19 Reinhard, il proprietario, doveva accompagnarmi in auto al ristorante distante 3 km.
Alle 19.10 lo sento chiudere la porta della stalla e intuisco che abbia finito di mungere. Aspetto 15 minuti per dargli il beneficio del tempo della doccia. Alle 20, però, ancora non si muove nulla mentre il mio stomaco invece inizia a diventare molto richiedente.
Alle 20.10 provo a chiamare il numero della Guesthouse ma sento il telefono suonare a vuoto attraverso la tromba delle scale. Non c’è nessuno. Mi inizio “compostamente” ad inalberare. Busso a tutte le porte che trovo con la targhetta “privat” ma niente. Esco dalla pensione e con fare innervosito vado cercando la sua auto nel perimetro della fattoria. La trovo davanti ad una piccola dependance. Busso.
Lui, che per fortuna è in casa, uscendo mi guarda stupito e mi fa capire che mi ha vista camminare lungo la strada del paese 2 ore fa e pensava mi fossi arrangiata per la cena andandoci a piedi. Gli rispondo un pò scocciata che avevamo un appuntamento e che lo aspetto da 1 ora.
Imbarazzatissimo mi chiede scusa mille volte e poi mi dice che deve incontrare i suoi ex compagni di scuola nella stube del paese e che quindi mi può accompagnare adesso.
Mi porta in un ristorante tedeschissimo e mi aspetta mentre ceno perché vuole a tutti costi che vada con lui a conoscere i suoi amici e bere con loro. “Parlano inglese” mi fa capire.
E così, dalla quasi incazzatura nell’aver rischiato di non cenare (che dopo una giornata di cammino è inammissibile e impensabile), viene fuori una serata incredibile dove incontro e conosco persone che vivono in Germania ma che arrivano da tutto il mondo: Olanda, Tunisia, Sri Lanka. E finalmente tutti parlano inglese!
Trascorro la serata raccontando dei miei cammini mentre mi offrono a ruota, tutti, uno per uno una birra. Mi sento come un cantore di storie a cui viene offerto il vino per continuare a intrattenere i commensali.
Alle 22.30 sono alla storia del mio quinto cammino e anche alla quinta birra.
Guardo Reihnard e gli faccio segno che non solo non posso bere oltre ma anche che è ora, devo andare a dormire, domani devo camminare.
Per fortuna quando arrivo in camera sono così stanca che l’alcool non riesce neanche a salirmi e stramazzo nel letto felice.
Stamattina Reinhardt, sempre sorridente, mi riaccompagna nel punto dove mi aveva recuperato ieri e riprendo il sentiero. Ci salutiamo abbracciandoci forte, felici di questa nuova amicizia e ci ripromettiamo di vederci a Milano o meglio nelle Langhe con tutti i suoi amici di scuola a bere però, questa volta, Barolo o Barbaresco!
Non mi soffermo sulle condizioni meteo alla partenza. Diciamo semplicemente che mi incammino con ancora nel cuore una serata indimenticabile che fa passare in second’ordine il colore del cielo.
La sesta tappa avanza in profondità nel mezzo della Foresta Nera. Il sentiero segue la stretta cresta tra la Wolftal e la Einbachtal, scendendo dal Brandenkopf.
D'ora in poi il Westweg rimane fedele all'andamento del crinale tra la bella valle di Einbachtal e la valle del lupo. A volte a destra, a volte a sinistra della cresta, attraversa l'Hesselbacher Höhe, il Burzbühl e la sella Ebenacker. Oggi tutti questi nomi e montagne sulla mappa mi sembrano uno scioglilingua!
Stretti tornanti ai margini del bosco mi conducono al fiume Kinzig, affluente del Meno.
Da qui la vista sulla vallata, nonostante il tempo, è gloriosa e posso scorgere il non troppo lontano nucleo della città di Hausach, meta di oggi.
Qui trovo finalmente ben 2 farmacie e 2 supermercati per i miei approvvigionamenti tecnici.
Mentre attraverso il paese sento la musica in lontananza, mi avvicino alla piazza principale subito dopo alla Cattedrale e trovo i tipici chioschi tedeschi allestiti per la festa della birra, pronti per dare voce alla devastazione alcolica dei suoi abitanti. Mi bevo una favolosa Weissbier a 2 euro. Sempre detto: la birra in Germania costa meno dell’acqua.
E certo non poteva mancarmi questa esperienza tedesca DOC con birra e musica rigorosamente crucca.
Rientro poi nella Guesthouse per cenare nel loro ristorante che è gestito dalla stessa famiglia dal 1887.
Sto andando a blocchi di 3 giorni: i primi 3 giorni a base di Kartoffeln, questi ultimi 3 giorni a base di asparagi bianchi e a questo punto vediamo cosa mi riserverà la cucina tedesca nei prossimi 3.
Domani tappa epica sulla vetta più alta della Foresta Nera settentrionale con 10 ore di cammino.
Che la forza sia con me.
7 Tappa Hausach - Wilhelmshöne
Stamattina le campane che rintoccano gioiose per il giorno di festa che inizia mi accompagnano nell’uscita da Hausach che segna esattamente la metà del Westweg.
Il sentiero incomincia ad arrancare fin da subito, senza sconti e a zig-zag, facendomi prendere quota velocemente.
Costeggio il mastio e parti del muro del palazzo dell'ex castello Zähringer che torreggiano prominenti sopra la città. Costruito per proteggere le miniere d'argento circostanti, fu distrutto dalle truppe di Weimar durante la Guerra dei Trent'anni.
Oggi è la festa della mamma e giusto ieri riflettevo sul fatto che senza deciderlo consapevolmente mi trovo sempre a camminare durante questo giorno.
Non so se sia questa connessione che sento forte con lei oggi ma mi sembra quasi di volare.
Nonostante i dislivelli il mio passo è veloce, percepisco poco fatica e stanchezza e non sento il bisogno di fare soste di ristoro dopo le ripide salite. Mi sento piena di energia, quasi come se fossi spinta da un soffio invisibile dietro le spalle.
Tant’è che riesco ad impiegare “solo” 8 ore e mezza e non le 10 previste: un’ora e mezzo in meno è davvero tanto. Come ho fatto non è spiegabile con la ragione. E proprio per questo lo reputo possibile…
Conquisto Farrenkopf, Prechtaler Schanzen, Huberfelsen e Karlstein dove, nel breve tratto di roccia che mi separa dalla vetta, percepisco la presenza “eterea” di mia madre: sento che il mio sguardo diventa il suo e sento una sorta di sovrapposizione di anima che dura solo qualche istante ma che è sufficiente per comprendere di essere con lei ad ammirare la Foresta Nera che si apre a perdita d’occhio davanti ad entrambe.
Faccio in tempo a scendere al rifugio Schöne Aussicht 600 metri dopo per una bevanda calda e inizia il diluvio.
E’ incredibile come oggi tutto fili perfetto quasi “orchestrato” in armonia con i tempi dell’universo.
Quando smette di piovere il cielo si squarcia e il sole esce potente e tiepido anche se solo per un’ora. Riprendo il cammino e dopo qualche istante, sul sentiero, mi accompagna per qualche metro, lentamente come per farsi notare, una farfalla di colore blu. E’ lei.
La prima farfalla che incontro in questo cammino e proprio oggi…
Lo so che è lei, mia madre, mi basta questo.
Dal Karlstein in poi il Westweg rimane in quota e raggiunge Wilhelmshöhe, la destinazione di oggi, attraverso moderati saliscendi. A 500 metri dall’arrivo riinizia a piovere ma con una piccola corsa scampo veloce all’acquazzone.
Nonostante la giornata epica “sulla carta”, ho ancora forza in corpo e voglio andare a Schonach per vedere il primo orologio a cucù più grande del mondo. Il problema è che ora diluvia ed il paese è a 5 chilometri.
La proprietaria della Guesthouse mi dice che c’è un bus ma non sa gli orari.
Lo aspetto sotto la pioggia per mezz’ora ma niente, forse è perché è domenica? Decido d’impulso di fare autostop e appena provo la prima auto che passa. E’ una ragazza, mi carica.
Simbolo della Schwarzwald, l’orologio a cucù sembra sia stato inventato nel 1735 dall’orologiaio di Schonwald, Franza Ketterer.
Il proprietario non parla (ovviamente) inglese e mentre cerco di chiedergli se sa se oggi il bus funzioni, lo aiuto a vendere ad un cliente indiano uno degli orologi in miniatura copia di quello del museo.
Uscito il cucù e scattata una foto, saluto e me ne vado.
Il proprietario esce dal museo rincorrendomi e mi fa capire che ha trovato una famiglia disposta a riportarmi indietro. Sono spagnoli e pazzi scatenati ma simpaticissimi e in 5 minuti di auto mi portano alla Guesthouse.
Quando aiuti la vita ti aiuta sempre.
Grazie mamma per il nostro incontro, abbi cura di risplendere.
8 Tappa Wilhelmshöne - Kalte Herberge
Stamattina soffia un vento freddo ma che porta con sé i profumi intensi del bosco: le cortecce dei pini, degli abeti e dei larici, l’humus, i muschi e i licheni, le felci, le bacche e semplicemente l’odore dell’erba ancora umettata dalla rugiada della notte.
Ieri sera rivedo a cena Günter, l’uomo della presunta coppietta (che scoprirò non essere), questa volta però da solo. Mi si avvicina e mi racconta che la sua “amica” ha avuto problemi con un ginocchio e si è dovuta fermare. Mi dice anche che è un professore di matematica e sport ora in pensione, che questa è la seconda volta che percorre la Schwarzwald e che è sposato ma sua moglie non se l’è sentita questa volta di rifarla per cui è partito da solo.
Stamattina me lo ritrovo a colazione che aveva fatto apparecchiare per me al suo tavolo. Ovviamente non voglio essere antipatica o scortese e accetto.
Oggi il sole mi accompagna per quasi tutta la tappa seppur mostrando una convivenza piuttosto inquietante con un cielo che minaccia costantemente la pioggia. Pioggia che eviterò per un soffio arrivando alla destinazione di oggi, la storica Guesthouse Kalte Herberge, che accoglie le persone dal 1480.
L'ampio crinale dolcemente ondulato tra Rohrhardsberg e Brend e fino al lago Titisee, che incontrerò domani, forma una delle catene montuose più imponenti della Foresta Nera centrale. È anche lo spartiacque europeo tra il Reno e il Danubio.
Solo a scriverlo, mentre sono proprio qui ad attraversare questa catena montuosa così potente e questa terra così intrisa di storia, mi emoziono.
Con la stessa dolcezza con cui le alture salgono da est, i fianchi occidentali precipitano bruscamente e selvaggiamente squarciati nella bassa valle Simonswald, che offre splendidi panorami, soprattutto sul Brend dove oggi incontro, a circa 1200 metri, prati pieni di fiori di tarassaco che creano un contrasto idilliaco con il verde dell’erba.
Certo, camminare con il sole che accende ogni colore e illumina ogni sfumatura, è tutta un’altra musica.
A metà pomeriggio arrivo a Kalte Herberge ovvero l’albergo “freddo” perché situato in uno dei punti dove soffia più forte il vento in inverno nonchè unico rifugio presente fino alla tappa successiva e quindi da sempre un punto fermo della Foresta Nera.
E infatti stasera, a cena, ci sono circa una ventina di hikers che normalmente non vedo tutti insieme perché sparpagliati nelle diverse guesthouse presenti nelle varie tappe.
Scoop della serata: la camminatrice ha preso un bus e ha ripreso il cammino. Me la trovo alla reception quando scendo per una tisana dopo essermi sistemata in camera.
Cosa succederà? Purtroppo non ci è dato saperlo perché già so che Mr Günter domani procederà, dopo il lago Titisee, sul versante orientale mentre io rimarrò sul Westweg, quello occidentale per cui lo perderò di vista. Chissà lei quale percorrerà? Lucio Battisti direbbe “lo scopriremo solo vivendo”.
A cena i tavoli sono tutti formati dalle coppie o da qualche camminatore single poi man mano, a fine cena, si accorpano fino a formare 3 grandi tavoli. Io mi fingo ignara di quanto stia accadendo, avvinghiata con tutti i tentacoli al mio tavolo finché improvvisamente Günter arriva con la sua birra in mano e si siede di fronte a me.
Capisco che preferisca la mia compagnia a quella della tedesca e come dargli torto 😉
Rimaniamo a parlare per un’ora di cammini passati e futuri e delle nostre vite finché i proprietari del rifugio non ci sbattono tutti e 20 in camera. Devo ammetterlo Günter è davvero una persona sensibile e autentica e mi ha fatto piacere poterlo conoscere meglio.
Ci diamo appuntamento a domani mattina a colazione per salutarci definitivamente.
Quando guardo dalla mia piccola finestra della camera che si affaccia sulla foresta vedo che fuori sta ancora piovendo incessantemente da 5 ore.
Al di là del fango che troverò domani sul sentiero e che renderà certo tutto un pò più faticoso, prego solo che la giornata inizi almeno senza questa pioggia infinita.
9 Tappa Kalte Herberge - Hinterzarten
La pioggia ha continuato a scendere incessantemente tutta la notte e al mio risveglio sta piovendo ancora con la stessa intensità.
Ho anche dormito poco e male a causa del continuo sbattere della porta del bagno comune di chi ha dormito nella camerata.
Scendo a fare colazione in stile zombie. Dopo pochi minuti arriva Günter, anche lui sfatto, che mi chiede di potersi sedere al mio tavolo. Cerchiamo di capire il da farsi.
Alle nove ancora non si vede a 1 metro di distanza per la nebbia fitta che è scesa sulla montagna mentre la pioggia non vuole cedere.
I proprietari del rifugio ci consigliano di prendere l’unico bus che passerà oggi nella valle e scendere al capolinea 7 chilometri dopo. Ci spiegano che il sentiero, con tutta l’acqua che è scesa, è troppo pericoloso perché è molto ripido e scivoloso per via delle rocce, del muschio e del fango che si è andato formando.
Seguiamo tutti il consiglio e la carovana degli hikers si muove alla modalità “Gruppo Piemonte” sul bus. Quando scendiamo piove ancora a dirotto ma la parte peggiore del sentiero è superata.
A 700 metri dalla fermata è possibile ricollegarsi al sentiero.
Io e Günter ci salutiamo come in un film sotto alla banchina del bus abbracciandoci come due amici che non sanno se si rincontreranno.
Le nostre strade si dividono ma alla fine lo porterò nel cuore.
Quando inizio a camminare purtroppo il banco di nebbia è così denso che la visibilità in alcuni tratti è davvero limitata e avanzo come nell’ovatta con il solo rumore delle gocce e dei rigagnoli d’acqua che scorrono impazziti sul sentiero.
Ho poche occasioni per tirare fuori il telefono e fare delle foto. Piove troppo forte e ho paura di danneggiarlo oltre al fatto che ho le mani ghiacciate.
La camminata procede pressoché serrata come in un plotone che marcia rigoroso in perfetta sincronia nel silenzio. Tic tac tic tac…
Al lago Titisee il Westweg si divide in due percorsi: mentre il percorso occidentale si dirige verso Basilea attraverso la scalata di 3 vette il Feldberg, il Belchen e il Blauen, il percorso orientale rimane a valle e quindi in pianura fino a Basilea.
Peccato però che al Titisee oggi non ci arrivi per niente. Per la troppa acqua che scende, infatti, sono costretta a deviare il percorso fino a Hinterzaten attraverso il sentiero tracciato per le biciclette, molto meno accidentato di quello per i camminatori, evitando così per lo meno di sprofondare ad ogni passo nel fango ormai impraticabile.
Günten me lo aveva comunque definito come un lago “turistico e non degno di nota” per cui non mi sento neppure troppo dispiaciuta nell’averlo mancato pur a causa di forze maggiori.
Quando arrivo a Hinterzarten nel tardo pomeriggio imploro al proprietario dell’Hotel di farmi una lavatrice. Nonostante i vestiti da pioggia sono fradicia e distrutta e vorrei evitare di mettermi a lavare tutto a mano.
All’inizio storce il naso poi lo fisso negli occhi e gli dico “ma mi ha vista?”. Mi guarda, volge lo sguardo fuori dalla finestra e si rende conto che non può dirmi di no. La rimostranza per la “lavatrice” è andata a buon fine.
Una doccia rovente, 2 tisane bollenti e ancora mi sento infreddolita.
La cittadina di Hinterzarten sarebbe anche carina da passeggiare ma fuori ancora piove ed io ho una sorta di repulsione irremovobile al pensiero di uscire sotto l’acqua seppure con un ombrello.
E allora me ne sto rintanata nel bar del ristorante fino all’ora di cena: stasera ho trovato un ristorante italiano giusto a 150 metri e non me lo faccio scappare per nulla al mondo!
Dopo 2 minuti che sono entrata divento la mascotte della serata, vogliono che ceni al bancone “così parli un pò con noi”. Devo fermarli perché partono anche qui con i giri di birra e “ragazzi stasera sono troppo stanca”. Una birra, un racconto e poi vado a letto.
Le previsioni per i prossimi giorni danno tregua ma sono così stanca per la pioggia di oggi che mi interessa solo infilarmi nel letto e come direbbe Ornella Vanoni “domani è un altro giorno, si vedrà”.
10 Tappa Hinterzarten - Wiedener Eck
Che incredibile giornata con il sole che finalmente governa e che mi fa da bussola in questa tappa che è sicuramente la più emozionante finora.
Mente, corpo e anima ringraziano per questo prezioso dono dell’universo. Senza il sole avrei perso la magia della traversata di oggi considerata la tappa regina di tutto questo intenso viaggio.
Dopo giorni di pioggia e di tempo incerto, anche gli animali sembrano in mobilitazione generale. Due cervi mi attraversano la strada correndo ai cento all’ora saltando felici e ignari della mia presenza mentre diversi scoiattoli, al mio passaggio, si arrampicano velocissimi sugli alberi ma senza mai perdermi di vista con quegli occhietti nocciola che mi entrano ogni volta dentro.
Quando apro le tende della camera, stamattina, mi sembra un miracolo vedere il cielo azzurro e gli alberi di un verde cangiante grazie alla luce del sole.
In compenso quando parto ci sono appena 3 gradi e ne incontrerò appena 1 sul Monte Feldberg anche se, con il vento fortissimo che tirava in vetta, i gradi percepiti sono certa fossero molti meno…
La tappa gloriosa del Westweg è senza dubbio l'attraversamento del Feldberg da est a ovest. Si tratta della montagna più alta non solo della Foresta Nera meridionale ma di tutta la Germania, escluse le Alpi.
Quando esco dal bosco e inizio la salita il vento è gelido e fortissimo: la sua prepotenza spazza la cima ma anche tutti i pensieri. L’unica cosa su cui ci si deve concentrare ora è sul corpo, sullo stare in equilibrio tra una folata e l’altra. Come nella vita.
E in questo “lavoro” costante, che “qui” sulla montagna dura quasi 1 ora finché la valle con i suoi alberi torna a proteggermi dal vento, mi sento come un aquilone che vola altissimo e nel suo massimo splendore, ad un passo dalle nuvole.
Sto in questa natura che spazza, che pulisce, che dà e che restituisce: non baratterei queste emozioni con nessuna cosa “materiale”. Nessuna.
In alcuni punti, salendo in cima, c’è ancora parecchia acqua sul sentiero con tronchi che interrompono la strada e passerelle di legno sfondate. In alcuni tratti mi sembra un pò di percorrere un percorso ad ostacoli ma per il resto, il Re sole, come sempre, rende tutto irripetibile, unico e indimenticabile.
Da Rufenholzplatz il sentiero forestale diventa gradualmente una salita alpina attraverso un bosco di abeti rossi primordiali. E’ davvero emozionante camminare su questi sentieri, guardarsi attorno, percepire le energie degli alberi, della foresta, della terra che mi permette di avanzare e su cui radico con fatica ma consapevolezza ogni mio passo.
Sul crinale delle immense pareti del Feldseekars, al di sopra del limite della vegetazione arborea, il sentiero sale attraverso il Grüble, nell'ampia sella tra Seebuck a sinistra e la vetta del Feldberg a destra che scalerò esattamente a metà giornata con il sole alto e fiero sopra di me.
Dietro il passo Notschrei il sentiero sale ancora, aggira il Trubelsmattkopf e raggiunge, su pendii aperti di prati meravigliosi, il Wiedener Eck la mia tappa di oggi dopo 29 chilometri di bellezza, di fatica ma soprattutto di un “qualcosa” che ora fa parte di me e che nessuno mai mi potrà portare via.
Quel qualcosa che mi fa tornare ogni volta e ancora lo farà, sui sentieri…che sono anche quelli della vita.
Con la faccia rovente dal sole e dal vento di oggi vado a letto piena di gratitudine per questa incredibile giornata.
Mancano 2 giorni di cammino alla meta, Basilea.
Che il sole sia con me fino all’arrivo. Non chiedo altro.
11 Tappa Wiedener Eck - Kandern
Stamattina il sole è ancora dalla mia parte splendido splendente ad illuminare un’altra giornata pazzesca sul tetto della Foresta Nera.
Oggi in Germania è la festa del papà e poco dopo la partenza incontro una ventina di uomini che salgono verso la montagna per festeggiare con una mega cassa con la musica a manetta e bevande a volontà. Vogliono offrirmi del panachè che ovviamente rifiuto gentilmente.
Con il Belchen e il Blauen oggi ho in programma altre due delle grandi vette della Foresta Nera.
II Belchen è considerato una delle vette più belle, originali e alpine della Foresta Nera meridionale. Il suo imponente massiccio montuoso domina le valli circostanti con fittissime foreste e fianchi scoscesi.
Il Blauen, invece, si spinge lontano nella pianura del Reno accompagnandomi lentamente verso l’ultima tappa di domani.
Da Wiedener Eck, dove mi sono fermata per la notte, il Westweg circonda l'Heidstein su stretti sentieri e poi scende attraverso i ripidi pendii montuosi fino al Krinne.
Dalla vetta del Belchen la vista è incredibile e grandiosa, un vero spettacolo: lo sguardo spazia dall'intera Foresta Nera meridionale fino ai luccicanti giganti di ghiaccio delle Alpi.
Nel sentiero che collega le due montagne incontro tratti dove l’odore delle piante di aglio selvatico è intenso e quasi ubriacante.
Quando inizio a salire sul Blauen, l’ultima montagna che incontrerò nella Foresta Nera, sono già molto stanca ma niente al confronto di quando arriverò a Kandern, la meta finale di oggi.
Dopo il Blauen, infatti, ci sono 11 interminabili chilometri tutti lungo una discesa ripida e piena di sassi che mi dà la mazzata finale.
Negli ultimi chilometri non sento letteralmente più i piedi. Continuo a guardare quanto manca e cerco ci resistere a non fermarmi perché non ripartirei più. Inizio poi a pensare intensamente, come un mantra a forma di immagine, al momento in cui toglierò gli scarponi e mi potrò finalmente massaggiare i piedi per rinvenirli dal coma.
Quando arrivo davanti alla Guesthouse ho percorso 35 chilometri con un totale di 1563 metri di discesa.
Nella stanza c’è un freddo glaciale che si protrae anche durante la cena quando sono costretta a mangiare fuori perché l’unico ristorante aperto a Kandern ha 3 tavoli dentro e 20 fuori e quelli all’interno sono già tutti occupati. Ci sarebbero le lampade per riscaldare gli esterni ma non sia mai di accenderle con questi tiepidi 14 gradi nell’aria.
Ceno così veloce da non rendermene neppure conto pur di tornare in camera dove nel frattempo ho acceso il riscaldamento.
Quando arrivo in cassa mi dicono che posso pagare solo cash. Perfetto pensavo di pagare con il telefono come ho fatto per 11 giorni ma no, oggi no.
Dopo aver già aggiunto 500 metri per andare a cena ai quali devo ovviamente aggiungerne altrettanti per tornare alla Guesthouse ora devo considerare un altro chilometro tra andata e ritorno per andare a prendere il portafoglio che ho lasciato in camera.
Stasera a dire il vero zoppico. Finisco il tubo di crema Lasonil e prego di arrivare domani a Basilea.
Chiudo la serranda con 37 chilometri tondi tondi e 10 Ave Maria.
12 Tappa Kandern - Basilea
Stamattina appena appoggio i piedi sul pavimento della stanza sento come una scossa salirmi dalla pianta, attraversarmi le ginocchia e spingersi fino all’ombelico.
I primi passi sono difficoltosi e impacciati poi prendo coraggio, mi vesto, faccio colazione, infilo gli scarponi ancora una volta e parto.
Già a pochi chilometri dopo Kandern il paesaggio si appiattisce e l’aria, la sento, è diversa.
La Foresta Nera è ormai lontana.
Per la prima volta cammino in maniche corte: anche la temperatura non è più quella della foresta. Mi sento quasi spaesata e orfana.
Attraverso l’ultimo bosco dove lentamente, ringraziando, mi congedo dagli alberi, dalle foglie, dalle piante, dai fiori, dalla terra, dal sentiero e dagli uccelli che sono stati in egual misura i miei compagni fedeli in questi giorni di cammino.
Pian piano che mi avvicino a Basilea compaiono piccoli vigneti che si alternano alla campagna fino alle imponenti rovine del castello di Rötteln.
II castello, costruito fino alle dimensioni attuali dopo il terremoto di Basilea del 1356, è uno dei complessi castellani più grandi del Baden meridionale.
Il Westweg scende poi attraverso il panoramico Tüllinger Berg fino al fiume Wiese.
Attraverso il confine tra Germania e Svizzera e varco, subito dopo, le soglie dell’affascinante città di Basilea: eccomi con quasi 300 chilometri nelle gambe ma soprattutto nel cuore.
Non sono più abituata a così tanta gente, al cemento, ai rumori, al tram, ad aspettare che il semaforo diventi verde per attraversare sulle strisce pedonali.
Un cammino senz’altro impegnativo e faticoso per i dislivelli importanti, per il meteo spesso ostacolante e irriverente ma che comunque pare essere stato, secondo i tedeschi, non così malvagio come sarebbe potuto essere.
Il meteo è stato un pò come quello che accade nella vita. C’è sempre qualcosa che non possiamo controllare ma contro il quale combattere non servirebbe a nulla. Diventa importante, allora, non viverlo come un evento da subire perché al di fuori dal nostro controllo ma imparare a conviverci traendone il meglio anche quando si tratta di un qualcosa che non vorremmo attraversare mai.
La pioggia è comunque stata, in qualche modo, anche una compagna. Certo a volte eccessiva ed indigesta ma in fondo mi ha permesso di gioire ancora di più del sole quando finalmente è arrivato.
L’ombra serve per vedere la luce, il nero per distinguerlo dal bianco. Tutto nella vita porta in sè e per sua natura gli opposti e il segreto è quello di trovare un equilibrio tra di essi, consapevoli che non esista un modo netto inteso come giusto o sbagliato, ma esiste un modo di essere che parte innanzitutto da come siamo fatti noi, dalle nostre caratteristiche e peculiarità che ci rendono tutti diversi e unici e in base a queste camminare il nostro sentiero a modo nostro.
Si dice spesso che di molte esperienze della vita si ricordi maggiormente “come finiscano” di come siano iniziate e se finiscono con soddisfazione allora questa stessa percezione avrà la forza di ammorbidire anche gli aspetti che all’inizio o nel mezzo non sono stati “troppo memorabili”.
Per cui certo non potrò dimenticare la nebbia e la pioggia che ho a tratti maledetto ma ricorderò ancor più la potenza e l’energia del sole che mi ha accompagnato nei miei passi e nei miei occhi verso casa.
E questo a ricordarmi sempre, e anche oggi, che nonostante tutto il sole arriva sempre.



















































































































































































































































































































































































































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