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Alpe Adria Trail - Austria, Slovenia, Italia

Aggiornamento: 18 set 2024


Giorno 1 Kaiser - Franz-Josefs-Höhe - Heilingeblut

Il mio viaggio in solitaria parte al cospetto del silenzioso Pasterze il ghiacciaio più esteso delle Alpi Orientali che corre ai piedi del Grosslockner che con i suoi 3.798 metri è la vetta più alta dell'Austria.

Fuori il freddo è tagliente e il vento irriverente.

Mi battezza un arcobaleno con un arco perfettamente composto che unisce le due sponde del ghiacciaio formando come un portale: la via di accesso per entrare nella più profonda dimensione spirituale del cammino. Entro.

Più di cento milioni di anni fa, questa zona giaceva sul fondo di un mare poco profondo e tropicale.

Quelle che un giorno sarebbero diventate “le Alpi” venivano gradualmente depositate su questo fondo marino sotto forma di innumerevoli conchiglie e altra vita marina.

Mentre cammino, pensandoci mi vengono i brividi.

La valle Möll si apre come l’eden davanti ai miei occhi disegnando ad una ad una le spalle possenti quanto spigolose delle montagne color argento.

Dopo Trogalm attraverso una foresta che ospita centinaia di marmotte, le mie compagne fedeli di questa prima tappa.

Oggi è un tripudio di cuori, di mia madre, e di sorrisi, i miei.

Come in ogni mio cammino lei è al mio fianco.

Non sono sola. E non lo sono mai.

Arrivo ad Heiligenblut, un ultimo avamposto prima del vasto muro di montagne all'angolo tra Carinzia, Salisburgo e Tirolo.

Al mio arrivo la proprietaria della pensione con alito di alcol misto a mentina esordisce con “bad news but good news”. Mi dice che non c’è la mia stanza per overbooking ma che mi manda in un altro posto molto più bello del suo. E così stasera dormo nella stanza della regina delle camminatrici.

Iniziare un nuovo cammino significa affidarmi ad un sentiero che non conosco, ad un cielo che non so cosa mi riserverà, a situazioni ed esperienze che mi si presenteranno e che non posso prevedere o controllare. Non è forse ciò che avviene anche nella nostra vita?


Giorno 2: Heiligenblut – Döllach

Oggi la tappa corre lungo un paesaggio rurale contadino di “vocazione alpina”.

La prima ora scivola umida e ovattata sotto una pioggia tanto fine quanto incessante che mi lascio scivolare sulle spalle come quei pensieri torbidi e intrusivi che a volte ci arrivano e si impossessano completamente nella nostra mente.

Mi focalizzo sul mio respiro e piano sposto la mia attenzione sui crinali verdissimi delle montagne e in generale su tutto ciò che mi circonda e finalmente, respiro dopo respiro, passo dopo passo, il cielo si squarcia.

Come nella vita dobbiamo allenarci a distogliere lo sguardo, spesso incatenati quasi inspiegabilmente a ciò che manca per “appoggiarlo” con leggerezza e consapevolezza sull’abbondanza ormai decisamente sottovalutata ma che ci circonda a prescindere da tutto ciò che accade.

Noi non siamo i nostri pensieri così come la pioggia non è il sole.

Avanzo con passo sicuro fino a conquistare il cuore del Parco Nazionale degli Alti Tauri, l’area protetta più vasta dell’Europa Centrale: in questa parte per secoli è stato estratto l’oro.

Il culmine sul sentiero è il paese alpino di Apriach con i suoi mulini ad acqua simbolo del territorio.

Nella minuscola Döllach, meta della tappa di oggi, la domenica è sacrosanta.

Gli unici edifici accessibili sono chiese e cappelle e due pensioni di cui ovviamente una è la mia.

Dopo aver fatto la doccia e come tutte le sere la bella lavanderina, mi godo un caffè per poi rintanarmi nella mia stanzetta monacale con letto singolo a cassettiera rigorosamente in legno massello color noce di alta montagna.

Spero di non spaccarmi le anche muovendomi nel sonno vista la larghezza dei bordi di legno.

Nel dubbio credo che dormirò sul fianco e immobile.

Mi concederò giusto di respirare e di sognare. Tanto.



Giorno 3: Döllach – Marterle

Oggi il sentiero mi spinge a Marterle, il santuario più alto di tutta l’Austria, a 1861 metri.

Dopo aver fiancheggiato il fiume di Döllach per qualche chilometro inizio ad attraversare sentieri forestali per poi inerpicarmi su mulattiere che mi regalano incredibili paesaggi sulle cosiddette “Dolomiti di Lienz” visibili dal versante Austriaco.

Il mio corpo è ancora in fase di assestamento e rafforzamento. Nonostante qualche trekking di allenamento fatto nelle scorse settimane portare 10 chili sulle spalle non è scontato.

Sopratutto camminando per giorni e con dislivelli impegnativi.

Oggi il tema che mi rimbalza in mente compulsivamente è quello dei limiti.

Quei limiti che la società ci spinge continuamente a superare mettendo a dura prova la nostra resistenza fisica e psicologica.

E così anche oggi il cammino si predispone ad un naturale parallelismo con la vita.

Non si può partire per fare 500 km sulle montagne senza conoscere i propri limiti così come nella vita se sfidiamo la nostra natura rischiamo pesanti “cadute” che finiranno per minare la nostra autostima e per farci credere di non essere capaci, di non valere. Di non essere abbastanza “bravi”.

Conoscerci, esplorarci, ci insegna ad amarci per quello che siamo e semmai dovrebbe spingerci proprio a coltivare i talenti che ci abitano e che sono sempre unici per ciascuno. A discapito di ciò che invece non ci appartiene.

Scoprire i nostri doni ci farà sentire realizzati e darà un senso alla nostra vita.

Partiamo da quello che ci piaceva fare quando eravamo bambini.

Il nostro dono, li’, era libero di esprimersi.

Arrivata a Marterle la mia piccola stanza nel rifugio è tanto deliziosa quanto gelida.

Temo la notte e quindi probabilmente dormirò vestita.

Anche questo è il cammino.



Giorno 4: Marterle – Stall

Stanotte alle 2 circa sembra che siano arrivati i ladri nel rifugio.

Un baccano incredibile su e giù per le scale scricchiolanti e in un secondo mi trovo in piedi nel letto con la luce accesa.

Poi capisco che qualcuno è andato in bagno e ha dato inizio alla moda notturna. Non ne approfitto.

Nella stanza credo ci siano 5 gradi e non ho nessuna intenzione di uscire dal letto.

Dopo circa 45 minuti di porte sbattute e scale scese con la delicatezza degli elefanti torna la pace.

Oggi il sentiero mi spinge vertiginosamente giù dalla montagna lungo il vecchio sentiero di pellegrinaggio che parte dal santuario di Marterle per arrivare attraverso romantici pascoli alpini e freschi boschi direttamente nel comune di Stall im Mölltal.

In pochi chilometri in stile camoscio scendo di 1000 metri per la felicità delle dita e delle unghie dei piedi che martoriate pulsano negli scarponi.

E’ quasi più una piccola corsa con zavorra ma preferibile rispetto al continuo frenare ad ogni passo con le ginocchia. Mi servono ancora per i prossimi 23 giorni.

Oddio mentre scrivo questo numero mi sono spaventata!

Oggi la tappa è di “sole 5 ore” perché nel pomeriggio ho pianificato delle sedute con i pazienti.

Alle 19 corro a cena. In Austria alle 19.30 chiudono le cucine e ho solo una scelta nella minuscola “Stall city”.

A fine cena un gruppo di 4 coppie di crucchi seduti al tavolo accanto si alza con 8 bicchieri offrendomi all’improvviso un bicchierino di liquore di montagna annoverandolo come il migliore dell’Austria.

Devo però ahimè declinare per essere fedele al mio fioretto per questo cammino: no alcool e no dolci.

Ma è bello che degli sconosciuti mi abbiano fatto sentire come un’amica arrivata da lontano con cui condividere un brindisi!



Giorno 5: Stall – Innerfragant

Dopo aver salutato Patrizia che mi ha ospitato nella sua pensione come una figlia mi lascio alle spalle la piccola Stall e inizio la faticosa ed estenuante salita delle montagne nella valle Mölltal.

Oggi è una giornata impegnativa per i dislivelli e la lunghezza della tappa.

Percorro il sentiero “Rollbahn” lungo il quale veniva trasportato il rame estratto nelle ex miniere per mezzo di una ferrovia trainata da cavalli per poi inerpicarmi sotto il sol leone fino al rifugio in cima alla montagna.

Un chilometro prima trovo un paio di occhiali da vista: li raccolgo e al rifugio trovo il proprietario così felice che mi offre da bere: la scelta è birra un succo imbevibile e acqua gasata. Scelgo l’ultima che il proprietario mi arricchisce con del limone.

Mi rendo conto che sono la persona più ricca del mondo con il mio bicchiere di acqua fresca, le montagne negli occhi e il tempo per me.

A metà sentiero incontro un ragazzo che mi racconta che sta facendo una settimana di cammino.

Il problema è che mi si appiccica come la resina sugli alberi. Credo patisca la solitudine. Ma io non posso salvarlo. Sopratutto quando per me camminare da sola è una scelta.

Per quasi 3 ore scimmiotta le mie pause. Mi fermo, si ferma. E così me lo ritrovo sempre nei paraggi che in un modo o nell’altro, poi, attacca bottone.

Ad un certo punto, con delicatezza e gentilezza, gli spiego che voglio camminare da sola e finalmente posso tornare al mio tanto amato silenzio.

Nell’ultimo tratto del

cammino di oggi mi trovo ad attraversare una foresta incantata. Mi sembra di essere in una favola e che debbano uscire gli gnomi da un momento all’altro.

Arrivo alla pensione dove ho prenotato per la notte estasiata dai paesaggi e dalle foreste ma arrancando. Dopo un minuto scoppia un temporale ma io ormai sono salva!



Giorno 6: Stall – Mallnitz

Un’altra giornata di sole sul sentiero dell’Alpe Adria trail.

In compenso la discesa ripida di ieri mi ha lasciato un regalino, una bella vescica, la peggior coinquilina che si possa avere durante un cammino.

Ma anche questo fa parte dell’esperienza.

Alle 9.30 in punto tutte le energie accatastate nel corpo con la colazione se ne vanno con la prima delle tante salite di oggi che è letteralmente sfiancante.

Stanotte è piovuto e per ogni due passi in cui avanzo ce n’è uno in cui scivolo e indietreggio. Non demordo.

Mi prendo il mio tempo e incomincio una piccola meditazione camminata focalizzando tutta me stessa sul respiro che seppur affannoso mi dà un ritmo da seguire.

A mezzogiorno sono in cima e come una visione (la guida non lo citava) c’è un rifugio.

Prendo da bere, faccio per sedermi e vedo sbracciarsi Thomas, il ragazzo incontrato ieri. Niente, mi tocca andare.

In compenso il paesaggio sulla valle Mölltat è travolgente con i profili delle montagne fino a perdita d’occhio e i mille verdi che illuminano la pianura.

Oggi attraverso uno di quei boschi in cui le radici degli alberi escono prepotenti dal terreno.

Le piante ci insegnano l’importanza del radicamento.

Radicarsi significa soprattutto sapere dove si è e cosa si sta facendo: in una parola, consapevolezza.

La natura è maestra.

Stasera mi concedo un massaggio delle sapienti mani di Melanie che mi rimette (quasi) a nuovo.



Giorno 7: Mallnitz – Obervellach

La tappa di oggi è una inno alla bellezza e alla magnificenza.

Uscita da Mallnitz il sentiero si immerge nell’ultimo tratto della Valle dei Tauri scandito da un canyon per poi proseguire nella

valle del Seebach fino al lago Stappiz.

Dopo poco meno di un’ora dalla partenza trovo ancora Thomas che mi aspetta beato seduto su una roccia.

Arrivati sotto alla funivia che trasporta alla cima mi annuncia che la prenderà per salire.

Io neanche sotto tortura e si manifesta così la reale e concreta opportunità di separarci e proseguire così in solitaria.

Il sentiero continua attraversando la gola di Rabisch con il suo torrente spumeggiante.

L’apice del giornata però è l’incredibile gola di Groppenstein con le sue imponenti cascate il cui fragore riecheggia in tutta la valle. Il loro fruscio mi accompagna fino a Obervellach, dove finisce la tappa.

Per tutta la giornata mi sento avvolta in un raccoglimento dell’anima che lascia spazio a emozioni pensieri che si fanno strada nelle mie parti più profonde e silenziose.

Stasera mi sento di ringraziare profondamente la mia vita e mia madre perché attraverso il suo “ritorno a casa”, in questi ultimi 10 anni, mi ha insegnato che se troviamo il coraggio di trasformare la nostra sofferenza ciò che pensavano perso, in realtà, continua a vivere, dentro di noi.

E se possibile anche più forte di prima.

Ed è così che sento con forza e gioia

che tu, cara mamma Mitti, vivi in ogni mio passo, sempre.

L’amore non ha limiti.



Giorno 8: Obervellach - Preisdorf

Dopo una prima salita impegnativa dove ad un certo punto mi perdo completamente e impiego quasi 1 ora per ritrovare il sentiero girando a destra e a manca come una tarantola impazzita sul crinale della montagna, quando arrivo in cima la strada mi spinge istantaneamente e senza pietà giù a valle per quasi 4 ore sino ad arrivare a circa 700 metri di altitudine.

Il caldo incomincia a farsi sentire soprattutto nei tratti fuori dai boschi dove il sole picchia duro e senza tregua. Dopo una settimana tra i 1200 e i 1900 metri non sono più abituata al caldo.

In compenso ormai ho consolidato la mia abbronzatura stile muratore. Molto sexy.

Oggi incontro il più antico luogo di culto della Carinzia, il castello fiabesco Burg Falkenstein che sovrasta la località di Gratschach e appare come un rudere pittoresco di tempi antichi.

Meta e attrattiva principale di questa tappa è però il monte conico Danielsberg.

Questo singolare monte che si erge al centro della valle Mölltal è una sorta di Mecca della Carinzia.

Arrivo a destinazione cotta, stracotta e tostata a puntino dal caldo asfissiante.

Negli ultimi metri mi accorgo di barcollare leggermente e di essere come in una sorta di trance.

La pensione dove ho pernottato per la notte è in mezzo al nulla e la coppia di austriaci di credo 75-80 anni che la gestisce non spiaccica una parola in inglese.

Perfetto.

In compenso a forza di gesti, traduttore e moine ottengo la mia più grande ricompensa: una lavatrice!

Stasera niente bella lavanderina. Mi sento in vacanza e così mi posso godere un’oretta di relax nel giardino prima della cena.

Dagli altri ospiti che conoscono il posto capisco che la cena è servita al rintocco della campana posta sopra alla porta di ingresso del casolare abbellito da gerani rossi e bianchi in vero stile austriaco.

Din don eccomi!



Giorno 9: Preisdorf Hühnersberg

La giornata di oggi è epocale per il caldo torrido contro il quale mi tocca combattere per tutto il tempo.

Solo la prima parte del percorso mi garantisce un pò di ombra mentre cammino lungo il fiume Möll e poi quando percorro il sentiero dove Federico Barbarossa marciò durante la crociata del 1197.

Per il resto ogni metro è conquistato con sangue e fatica combattendo contro il continuo gocciolare del sudore che mi appanna la vista.

Nella seconda parte del cammino scelgo di non fermarmi per velocizzare l’arrivo a destinazione e ridurre così le ore sotto il sole cocente.

Ad un certo punto mi sento devastata. Negli ultimi chilometri vorrei scaraventare lo zaino che oggi con la doppia scorta di acqua pesa quasi 11 kg e gli scarponcini roventi giù dalla montagna.

Ma mi servono ancora entrambi e resistito con immensa fatica a non desistere.

Ci sono momenti in cui vorrei mollare.

Nonostante oggi salga a quota 1.138 metri quando arrivo alla pensione dove mi fermerò per la notte ci sono 30 gradi.

All’interno della struttura l’aria che si respira è quella della casa parrocchiale dove andavo nelle vacanze estive quando ero piccola.

Un vero e proprio tuffo nel passato.

Ovviamente bagni e docce comuni (essenziali ma pulite) e camerate ma io mi concedo una stanzetta tutta per me.

Sono così stanca che quando arrivo mi addormento per mezz’ora collassata sul letto fregandomene delle mie mansioni di fine tappa che devo svolgere.

A cena, dalla terrazza della Pensione, la vista spettacolare sulla valle Möll che si apre elegante davanti a me mi fa quasi scordare l’impresa titanica di oggi.

Visto il caldo previsto anche per domani conto di partire prima.

In compenso stasera, calato il sole, l’escursione termica mi concede un pò di fresco.


Giorno 10: Hühnersberg - Gmund

La giornata inizia presto con il gruppo di 18 scout austriaci che all’alba incomincia a fare un gran baccano.

Cerco di partire il prima possibile ma la proprietaria, che di sicuro soffre di un inizio piuttosto marcato di demenza senile, mi porta la colazione in 10 rate dimenticandosi ogni volta qualcosa.

Non voglio farla sentire in colpa e allora timidamente chiedo come se fosse sempre la prima volta quello che mi aveva promesso di portare un minuto prima.

Quando esco dalla pensione il caldo è già devastante. Un supplizio.

Vivo i tratti di foresta cercando di trattenere nel corpo quella sensazione di quasi freschezza che rilasciano le fitte conifere per poi quasi marciare a spron battuto quando mi trovo come nuda sotto il sole.

Le ultime due ore sono su asfalto rovente e zero piante.

Nel primo pomeriggio, evitando le soste per fare prima, raggiungo la destinazione di oggi,

Gmund, come ieri in stile pera cotta ambulante.

Il paesino propone una vastissima offerta culturale incentrata sulle arti figurative e sull’artigianato artistico. Mostre, musei, giardini di sculture, atelier e numerose gallerie… ma io sono troppo stanca anche solo per guardare e finisco strisciante a farmi una doccia gelata nella mia stanza che affaccia sulla bella piazzetta con le case colorate.

Poi mi addormento come ieri per 20 minuti secchi spossata.

Dopo alcune sedute online con i pazienti e calato il sole dietro le montagne riapproccio il paesino passeggiando su è giù per i suoi 400 metri di lunghezza per una decina di volte e poi ceno.

Alle 21 spengo la luce. Domani voglio partire appena fa giorno.



Giorno 11: Gmund - Seeboden

Dopo alcuni giorni in cui il caldo mi sta ipnotizzando e forse in qualche modo a tratti anche distogliendo un pò dal sentiero, solo oggi realizzo che non incontro nessuno da ormai quattro tappe.

Forse è proprio il caldo che sta spingendo i camminatori a quote più alte di quelle dove mi trovo ora?

Per fortuna domani la destinazione finale è a circa 1800 metri che da un lato significa che sarà una giornata in salita e impegnativa ma dall’altra che finalmente mi toglierò da questo caldo infernale.

La tappa di oggi scorre piacevolmente lungo strade forestali e sentieri di conifere finché sulla via incrocio Burg Sommeregg dove si erge il castello nonché museo delle torture più grande d’Europa.

Anche oggi il mio ritmo è serrato per arrivare il prima possibile a destinazione ed evitare le ore più calde.

Al mio arrivo il lago Millstätter, il secondo più grande d’Austria, sembra Riccione ad agosto.

Tutta la città è in acqua o sdraiata sul prato adiacente le sponde in cerca di sollievo.

Credo che l’Austria non abbia mai mai visto questo caldo!

Stasera ceno con un piatto di caprese, molto turista e poco per caso, perché la cucina austriaca mi esce letteralmente dalle orecchie!



Giorno 12: Seeboden - Alexander Hütte

Oggi si ritorna finalmente in alta montagna, in quel silenzio e in quella pace che sono un eterno richiamo per la mia anima.

Oggi vado incontro ad una delle tappe più impegnative e difficili di tutto il cammino.

Devo scalare un dislivello di 1600 metri in un’unica soluzione, senza tratti piani e con poco bosco.

Ciò significa che incomincio a salire da quando parto e fino a quando arrivo a pomeriggio inoltrato dopo otto ore e quaranta minuti di cammino, tolta una pausa di 20 al rifugio Pichlhütte dove bevo un caffè.

Come sempre mi stupisco, guardandomi indietro, di quello che sono riuscita a fare.

Oggi più volte lungo la salita infinita mi rimbomba nella testa la domanda “ma chi te lo ha fatto fare?”.

Poi quando arrivo in cima sul Tschiernock mi dimentico di tutto e l’emozione di avercela fatta mi fa quasi perdere la cognizione del corpo e dei suoi dolori.

Non è sempre facile armonizzare la mente, il corpo e le emozioni ma come nella vita solo quando riusciamo a trovare l’equilibrio tra queste parti allora siamo capaci di affrontare qualunque difficoltà e fatica.

Quando cammino in vetta, guardando i taglienti profili alpini delle montagne Nockberge la sensazione è estatica.

Nelle ultime due ore posso ammirare in lontananza anche gli Alti Tauri e le Alpi Carniche.

Ci sono attimi in cui non capisco se il cuore si è fermato o vada cosi all’impazzata da non sentirlo.

Ogni mia cellula è piena di bellezza.

Poi il cielo improvvisamente minaccia temporale e mi tocca aumentare il ritmo anche perché in cima alle montagne c’è più probabilità di scariche di fulmini.

La fortuna mi assiste e le prime gocce cadono proprio mentre percorro gli ultimi metri verso Alexander Hütte, il rifugio di montagna che mi ospiterà stasera.

Alle 20 ci sono 14 gradi. Godo nel tenere su la felpa e quasi sentire freddo.



Giorno 13: Alexander Hütte a Dobriach

La notte in rifugio è stata dinuovo molto movimentata.

Porte del bagno sbattute in mezzo alla notte, gente che fa la doccia alle 11 di sera cantando a squarcia gola.

A volte mi chiedo quali siano i veri “animali”.

Quando incomincio a camminare ci sono 14 gradi e sapendo che il sentiero parte in salita decido di restare in maniche corte per sentire ancora un pò quella bella sensazione di fresco sulla pelle.

La vista sul gruppo dell’Ankogel con la maestosa Hochalmspitze è da piangere.

Ammiro le montagne a 360 gradi e ovunque guardi tutto mi torna indietro in pienezza: il corpo eccitato dalle mille emozioni, la mente che rilascia vibrazioni amorevoli e il cuore che ringrazia commosso.

Per gran parte della giornata mi accompagna la vista del lago Millstät.

Arrivo poi al Granattor (il Garnet Gate) nato dall’idea di rendere omaggio, con questa porta imponente, al giacimento di granato più grande d’Europa.

La tappa di oggi, apparentemente più facile perché prevalentemente in discesa, è in realtà una vera e propria mazzata e tortura per piedi e ginocchia che dopo 27 km e 1.700 metri di dislivello in discesa sono fuori uso.

Quando arrivo sul lago Millstät il suo azzurro inebriante mi distrae per qualche istante dal dolore ma è una mera illusione anche perché ci sono 32 gradi.

I piedi bollono, le punte delle dita pulsano e le ginocchia scintillano a forza di frenare.

Tutto è rovente fuori e dentro di me.

Arrivata ho quasi paura di togliere gli scarponi. I piedi sono come svenuti al loro interno.

Dopo un pediluvio ghiacciato si riconnettono con il resto del corpo ma sono piuttosto arrabbiati.

Dopo i miei 20 minuti di Yoga-stretching esco a cena ma le scale sono una tragedia.

Domani ho altri 1.100 metri (tutta e solo salita) fino alla prossima tappa.

Preghiamo che la carrozzeria tenga.



Giorno 14: Döbriach - Langalmtal

Stamattina il sole tarda a fare capolino. L’umidità è altissima e me ne accorgo dal primo tratto di bosco. Le zanzare mi divorano letteralmente.

A Radenthein visito il Museo del granato utilizzato già all’età della pietra per accendere il fuoco. In Egitto come pietra preziosa.

Alla fine della visita mi mettono in mano una piccozza e la maschera anti infortunistica.

Sono stata forse arruolata in miniera?

Alla fine la mia visita diventa una lunghissima sosta di un’ora e mezza di cui 45 per la visita e 45 per picchettare compulsivamente la montagna finchè alla seconda minuscola pietra di granato che riesco ad estrarre, mi ritengo degnamente soddisfatta.

All’inizio una bambina felice che gioca a fare la speleologa, alla fine una vecchia con la mano formicolante che non riesce a tenere più il peso della piccozza.

Dopo 1.102 metri tutti in salita, fradicia, arrivo a Petodnighütte.

La proprietaria Karin è empatica come un sasso. Non c’è né luce né presa in camera, doccia in uno scantinato a suon di acqua e schiva le ragnatele e bagni comuni (almeno quello delle donne non è fuori).

Appena mi siedo sul letto per togliere gli scarponi mi trovo direttamente con il sedere che tocca il pavimento.

Non si capisce bene se Karin mi darà la cena è un pò vaga sul tema.

Poi all’improvviso alle 16.50 si affaccia al balcone in stile adunata e dal secondo piano del rifugio, battendo le mani, urla: attenzione a tutti percepire non ho più voglia di cucinare, chi vuole mangiare mangia adesso e c’è la zuppa di funghi e patate.

JA VOLL!

Alle 17.24 ho già già finito la zuppa. Per fortuna nello zaino ho delle barrette energetiche che credo che mangerò per cena!

Le chiedo una bibita ma le bottiglie sono senza etichetta. Preoccupante. Spero di sopravvivere ai funghi (per sicurezza ho mandato una foto al mio caro amico toscano Fabio fungaiolo esperto che mi tranquillizza sulla loro edibilità), alla bibita senza etichetta e al “non” materasso! Insomma alla notte!

Per fortuna ormai da vent’anni ho fatto testamento.

Vado a dormire serena!


Giorno 15: Langalmtal - Larcherhütte

Alla fine Karin ieri sera smolla con la sua facciata tirannica e algida e inizia a sciolinarmi con dovizia di particolari tutta la sua vita diventando tanto piccola quanto morbida.

Capisco che ha bisogno di ascolto.

Dalla sua storia ora comprendo tante cose.

Poco dopo le 21 il generatore di corrente è kaputt. Il rifugio in un istante abbraccia la notte.

Lei commenta: “forse è un segno che dobbiamo andare a dormire”.

Ci salutiamo e io mi rintano nel mio letto sfondato e scricchiolante.

Al risveglio per fortuna è tornata la luce e posso ricaricare un pò il cellulare nella cucina.

Quando parto il ringraziamento silenzioso di Karin per l’ascolto di ieri sera è un abbraccio che quasi mi spacca le costole.

La tappa di oggi è gloriosa.

La molteplicità delle specie che profumano e fioriscono lungo questa tappa, che porta attraverso una delle aree più belle del parco nazionale Nockberge, è dovuta alla roccia primitiva a volte calcarea a volte cristallina.

Supero due cime il Predigerstuhl (2.170 m) e il Pfannnock (2.254 m). A gran fatica e tante pause.

Oggi la fatica è davvero tanta: dopo 15 giorni di cammino incomincio da un lato ad avere i muscoli più allenati dall’altra a sentire una stanchezza generale.

Dal lago Nassbodensee proseguo in direzione nordest.

Purtroppo oggi incontro tanti turisti chiassosi ma per fortuna solo ai crocevia dei sentieri dove io ovviamente mi inerpico come uno stambecco dove nessuno si cimenta e così torno nel silenzio.

La gioia e la gratitudine oggi sono le mie due compagne di viaggio.

Una moltitudine di cuori fin da quello che si crea spaccando il guscio dell’uovo a colazione, scandisce i miei passi e mi trasmette forza nei momenti in cui la stanchezza prevale.

Per fortuna a fine tappa Heidi mi accoglie nel suo rifugio con un bel piatto di Kärntner Käsnudel fatti a mano e tutto mi sorride.

Domani una fucilata: 1.200 metri in salita e 1.800 in discesa.

Che la forza sia con me.


Giorno 16: Larcherhütte - Bad Kleinkirchheim

Quando scendo per la colazione Heidi è già in cucina mentre canta le canzoni austro-popolari alla radio.

La sua allegria mi fa dimenticare per 20 minuti la giornata che mi aspetta.

Gli ultimi minuti mi rendo conto che sto indugiando ma la tappa è oltre che difficile anche lunga e non posso attendere oltre. Heidi mi avverte che probabilmente troverò un pò di tormenta sul Monte Falker.

Mi convince. Parto.

E anche oggi con la prima salita la colazione se ne và.

Alle 10.45 non ho più carburante in corpo e decido di mangiare il pezzo di pane nero e formaggio che doveva essere il pranzo.

Il profumo della Valeriana celtica, l'oro dei Nockberge, accompagna questa tappa panoramica.

Qui si chiama speik e viene ancora raccolto come secoli fa.

Questa pianta è particolarmente apprezzata per il suo effetto equilibrante… Da raccogliere a chili!

Passando per la Hundsfeldscharte scalo prima il Falkert affidandomi completamente al GPS perché la nebbia è un muro impenetrabile che rende invisibili le tracce rosse e bianche del sentiero.

La seconda vetta è il Rödresnock a 2.300 metri e qui mi tocca fare un pò di arrampicata su roccia con le mani per avanzare sulle giganti rocce bianche.

Il meteo oggi sembra impazzito: sole, tormenta, pioggia, vento e ancora sole.

Ma la sua irrequietudine mi regala sfumature e colori da brividi.

La seconda parte della tappa è una maledetta discesa senza fine di 1.800 metri. La temevo e a ragione veduta. Le continue pietraie mi distruggono i piedi e le ginocchia sono in continua tensione.

Solo quando attraverso un fitto bosco di vecchi larici e abeti rossi i piedi si rilassano grazie al morbido terreno.

La prima cosa che vedo entrando a Bad Kleinkirchheim, la destinazione di oggi, è una spa termale. Come uno zombie entro e supplico per un massaggio.

Hanno posto dopo un’ora.

Mi catapulto nella pensione per farmi una doccia e torno come in astinenza. La massaggiatrice mi distrugge ma stasera posso camminare come un essere umano.

Mi sembra un ottimo risultato.


Giorno 17: Bad Kleinkirchheim - Arriach

Stamattina il cielo non promette per niente bene.

La pioggia infatti mi accompagna per quasi tutta la giornata. Il morale però è alto.


La salita di oggi è sfiancante. In due ore e 27 minuti mi arrampico per 1.290 metri lungo una mulattiera vertiginosa.

Chiusa dentro alla giacca e ai pantaloni da pioggia mi sento come in sauna.

E intanto vedo scorrere le cabine dell’ovovia a 100 metri sulla mia sinistra. Che male ho fatto?


Cerco di distogliermi dalla fatica osservando la vita del sottobosco fatta di fragole selvatiche, di mirtilli, di libellule di montagna e di funghi immersa nel profumo di muschio e licheni bagnati. Aiuta ma la fatica mi attanaglia.


Quando arrivo in cima al Kaiserburg sono bagnata fradicia ma nel rifugio mi aspetta un bel camino con il fuoco acceso a riscaldarmi.


Il sentiero prosegue poi attraverso i campi e le praterie verdissime poi per un bosco d’abeti rossi e dopo ancora attraverso un bosco rado di larici. Tutto condito con tanta pioggia.


E vai che si scivola che è una meraviglia.


Con l’ultima energia che mi rimane mi stringo su una mulattiera per raggiungere la potente cima del Wöllaner Nock a 2.145 metri dove godo dello splendido panorama “della nebbia”. Avrei dovuto vedere a occhio nudo tutta la regione della Carinzia. Vabbè.


Da qui praterie e sentieri nel bosco mi spingono in discesa fino alle prime case di Arriach, il mio fine tappa.


E qui chiudo in bellezza. Il ristorante della pensione il lunedì è chiuso.

Il proprietario mi manda ad un ristorante vicino. Quando arrivo è chiuso anche lui. Chiamo il cellulare della pensione… ma è staccato. Chiedo a Google “ristoranti a Arriach”: i 2 chiusi.


Tra la stanchezza e la fame mi sta per partire l’embolo. Sto calma. Al

20º

tentativo il telefono suona libero, risponde la moglie: “mi dispiace ma perché hai fame?”.

Vorrei rispondere in malo modo ma mi trattengo e con parole educate (= uso un tono blandamente minaccioso) le intimo che l’unica soluzione è quella di portarmi in auto in un altro paese per cenare.


Così sia. Amen.


Giorno 18: Arriach - Gerlitzen Alpe

Il primo tratto di oggi è sotto una pioggerellina fine fine e corre per qualche chilometro sull’asfalto al quale sono diventata allergica come tutte le volte che faccio un cammino.

Il cielo è plumbeo e il tasso di umidità è quello della giungla amazzonica. Anche solo a stare ferma sono fradicia.

Dopo due settimane di sole non posso proprio lamentarmi anzi sono molto grata.

Bisogna saper accogliere anche la pioggia.

Così come nella vita dobbiamo accettare il fatto che non esista un “o - o” ma semmai un “e - e”.

Non esiste o la felicità o l’infelicità.

O va tutto bene o va tutto male.

La vita è un continuo fluttuare tra periodi ed eventi positivi e negativi e solo posizionandoci consapevolmente nel mezzo possiamo rimanere in un equilibrio sano verso l’avanzare della vita.

Nonostante oggi i panorami siano offuscati dalla bruma (che adoro) e dalle nuvole (quelle un pò meno) il momento più emozionante arriva quando incontro un branco di cerbiatti selvatici. Sento che il cuore incomincia come a suonare una sinfonia in risposta alla quale tutte le mie cellule sorridono.

L’ultima salita (stremante) è per raggiungere il rifugio a Gerlitze Alp dove mi fermerò per la notte e per raggiungere il quale risalgo in stile camoscio una pista nera da sci con a fianco la seggiovia e le persone che comodamente sedute sorridono guardando le facce assurde che faccio mentre mi arrampico. Comprendo dai loro visi la compassione più totale.

Dopo una doccia fredda mi riconnetto con l’universo.



Giorno 19: Gerlitzen Alpe - Ossiach

La tappa di oggi è quasi completamente raccolta dentro a boschi di pini e larici mentre il sentiero corre stretto in picchiata verso valle.

Scendo di quasi 1.400 metri il che significa lasciarmi di nuovo alle spalle le montagne.


Ogni giorno è come se fosse una singola escursione su una montagna o su un valico. Andata e ritorno.

Forse è anche per questo che il cammino si sta rivelando molto impegnativo dal punto di vista dello sforzo fisico.


Questa tappa di raccordo risulta piuttosto noiosa e mi fa riflettere sul fatto che anche la noia occupi uno spazio importante e degno di nota nella nostra vita, con il quale bisogna cercare di famigliarizzare.

Di certo, oggi, la noia mi spinge ad una maggiore interiorità.


La località di fine tappa è il paesino Ossiach adagiata sull’omonimo lago e conta 821 anime.

Non c’è molto se non visitare la storica abbazia con la chiesa collegiata barocca.

Quello che un tempo era un monastero benedettino risalente al XI secolo oggi è un rinomato centro culturale e sede di un prestigioso festival musicale internazionale: l’Estate Carinziana.


Stasera mi fermo ad ammirare per quasi un’ora il tramonto che scende silenzioso dietro alle montagne.

Noi siamo il viaggio.



Giorno 20: Ossiach - Velden

Ieri sera incontro Sabine, la proprietaria della pensione, che mi racconta di aver studiato economia e commercio a Vienna e di aver scelto come prima lingua straniera l’italiano.

Perfetto.

Dopo 20 giorni di cammino per lo più gesticolando per comunicare (io non conosco il tedesco e sulle montagne nessuno parla l’inglese) finalmente posso parlare un pò di italiano in modalità live.

Sabine è una donna e imprenditrice spumeggiante con il sorriso di chi coltiva una speciale bellezza interiore.

Dopo essere rimasta a chiacchierare senza tempo per tutta la sera di vita e di cammino, me ne vado a letto.

Prima dello scoppio dei 31 gradi previsti verso mezzogiorno, stamattina mi godo i temporanei 18.

I primi 4 km dalla tappa salgono troppo ripidi e maledettamente veloci.

Lo zaino pesa. Tanto.

Dentro, oltre alle solite cose, ci sono tanti chilometri, tanti dislivelli e 20 giorni di cammino senza pause.

Non sono al limite ma mentirei a me stessa se dicessi che non sento la fatica.

L’altro giorno una ragazza mi ha chiesto: “ma 27 giorni senza nessun girono di riposo?”.

Le ho risposto “mi riposo di notte”.

Le ho letto chiaramente in faccia “sei pazza”.

In cima alla salita, dopo aver fiancheggiato un piccolo ruscello di montagna e percorso il sentiero Schluchtweg, arrivo al laghetto dei Tauri con il suo affascinante rispecchiamento delle piante ricurve lungo le sue sponde.

Oggi passo dal lago più pescoso, il lago di Ossiach da dove sono partita, al lago più grande, più noto e più cangiante della Carinzia: il Wörther See, dove arrivo nel pomeriggio schiumando come un cavallo da traino.

Domani sarà l’ultimo giorno in cui camminerò integralmente su terra austriaca.

Sabato infatti, a circa metà tappa e dopo 21 giorni, attraverserò il confine per entrare in Slovenia.

Se mi “volto indietro” quasi non ci credo di essere riuscita ad arrivare fin a qui.

Che le emozioni, con i passi, mi accompagnino fedeli fino alla fine di questo incredibile viaggio.

L’anima, lei c’è.

Non è vero che non bisogna mai voltarsi indietro.



Giorno 21: Velden - Baumgartnerhöhe

La tappa di oggi è interrotta da continui tratti di asfalto sotto al sole cocente ma quando il sentiero si immerge nel bosco la meraviglia si accende.

Dopo un’ora di cammino incontro il fiume Drau che è uno dei principali affluenti del Danubio e scorre attraverso la Slovenia (come il fiume Drava) e lungo il confine tra Croazia e Ungheria prima di unirsi al Danubio al confine con la Serbia.

Passo vicino a Föderlach che con i suoi 10,4 ettari di acque poco profonde e letti di canne è un’area di conservazione e ospita circa 120 specie di uccelli.

Nell’ultimo tratto passo accanto alle rovine del castello di Finkestein dove il sentiero si inerpica ripido da 300 a 1.000 metri stroncandomi definitivamente insieme al caldo.

Incontro una specie di bettola con ristorante.

Ho in mente solo un bicchiere gigante di acqua gassata e gelata che qui chiamano “soda” spillata come la birra.

Ordino, bevo di un fiato. Mi sembra di bere champagne.

Al momento di pagare la signora mi chiede 3 euro… “signora ma cosa c’è dentro, l’elisir di lunga?” le chiedo sbalordita.

Sento che gnugna qualcosa credo in dialetto di montagna e scompare dietro al bancone.

Che vergogna!!!

Quando arrivo a destinazione, in cima alla salita, davanti alla pensione, ci sono 29 gradi. Incredible perché sono a 1.000 metri di altitudine!

Dalla pensione posso vedere a perdita d’occhio la vallata, i profili delle montagne e il lago Faak con i suoi azzurri cristallini.

Dietro di me, invece, ci sono le montagne rocciose Slovene che mi scrutano e che incontrerò domani quando varcherò il confine.

Nel pomeriggio lavoro e per fortuna mi faranno il bucato, il che è sempre il regalo più bello del fine tappa di ogni pellegrino, quelle poche volte che è possibile.

Oggi è l’ultimo giorno sulle montagne austriache che hanno guidato i miei passi sui sentieri per 21 - indimenticabili - giorni.

Domani varcherò il confine per continuare il mio cammino attraverso la Slovenia.



Giorno 22: Velden - Granjska Gora

C’è qualcosa di diverso ed impercettibile in questo nuovo giorno che sta nascendo. Lo sento.

E non si tratta solo del fatto che stia per attraversare il confine tra l’Austria e la Slovenia.

E’ come se ci fosse una sorta di corridoio di passaggio al quale la natura mi sta preparando.

Quando incomincio a camminare l’aria si fa improvvisamente frizzante, i torrenti diventano fragorosi e il sibilo del vento è come se cercasse di zittire i miei pensieri perché io possa dedicarmi solo ad essere me stessa.

E’ un’emozione indescrivibile quella che provo nei passi che mi portano a fine mattina lungo la linea invisibile che separa Austria e Slovenia a quasi 2.000 metri di altitudine.

E così, dopo 22 giorni di cammino in solitaria e 452 chilometri percorsi, voltandomi indietro esplode dentro me la gioia di avercela fatta, di essere arrivata fino a qui nonostante la fatica fisica e mentale e nonostante tutte quelle piccole difficoltà che vivono dietro ad un cammino così lungo.

Nel pomeriggio le mie compagne sul

sentiero sono le Caravanche, la catena montuosa slovena delle Alpi Sud Orientali fino alle porte di Kranjska Gora che si trova all’ingresso del parco nazionale del Triglav.

Stasera la stanchezza per la giornata fisicamente impegnativa è mista ad una gioia infinita.

- 5 giorni al confine con l’Italia.



Giorno 23: Granjska Gora - Trenta

Stamattina mi sveglio dopo una notte tormentata.

Ieri, a causa dei molti tratti esposti e della discesa piena di pietraie, ho dovuto usare tantissimo le braccia e le stecche e i tendini di un braccio si sono fatti sentire fino alle due di stanotte.

Una doppia dose di magnesio e potassio mi ha permesso poi di addormentarmi… ma stamattina parto già stanca.

Oggi la tappa, come molte delle ultime, prevede un sentiero di tipo EE ovvero per Escursionisti Esperti ed è catalogato come difficile.

Uscita da Kranjska Gora cammino inizialmente prima nel letto e poi a fianco del fiume Pišnica godendomi il passo su un falso piano praticamene senza dislivello.

Poi arriva la parte difficile.

Il panorama sulle magnifiche cime del Parco nazionale del Triglav è grandioso ma la fatica mi fa sudare ogni passo.

Lungo un’antica mulattiera salgo al Vršič, il passo di montagna più alto delle Alpi Giulie.

Ammiro da vicino il monte Prisank alto 2.547 metri e l’impressionante “Ragazza Pagana” un’immagine del volto di una donna, creata dalle fratture della roccia.

Prima di scendere nella valle di Trento sull’altro versante costeggio la sorgente dell’Isonzo noto come il più bel fiume d’Europa dove l’acqua è indescrivibilmente cristallina.

Gli ultimi chilometri sono interminabili.

Ho i piedi rotti per i continui sassi e per la discesa violenta.

All’ultimo scopro che il rifugio è 3 km fuori dalla tappa. Mi sale un pò di sconforto ma cerco di non fermarmi.

Arrivo con 27,2 km a cui ne devo aggiungere uno per andare a cena e tornare.

Oggi la Slovenia mi ha davvero stupito per la sua bellezza e per la forza dei suoi paesaggi grandiosi.



Giorno 24: Trenta - Bovec

Il verde delle montagne e lo smeraldo dell’acqua sono i colori che scandiscono questa pazzesca tappa slovena che corre quasi interamente lungo la Sôca Valley e l’omonimo fiume dai noi meglio conosciuto come l’Isonzo.

Il Trivalg National Park è l’unico parco nazionale della slovenia e il Sôca è uno dei più belli e preservati fiumi alpini in Europa con molte specie di pesci tra cui la trota.

Qui nella Sôca Valley il rischio di frane è altissimo ancora oggi e negli ultimi 50 anni ha fatto parecchi danni alle fattorie lungo il fiume ma per fortuna senza morti.

Il ginocchio destro da oggi ha iniziato a farmi male così come il piede e oggi sono parecchie le soste che faccio per dare tregua ad entrambi.

Le continue pietre degli ultimi giorni,

sopratutto in discesa, sono state deleterie.

Il corpo incomincia a dirmi che è stanco. Devo ascoltarlo.

Senza zaino sarebbe tutta un’altra cosa…

Tanto stretching, tolgo lo scarpone ad ogni sosta, faccio lunghi massaggio e ringrazio il mio corpo per tutto quello che mi ha permesso di fare fino a qui.

Gli devo ogni attenzione!

Domani il destino mi viene incontro con una tappa un pò più breve a causa della chiusura di 10 km del sentiero a causa di lavori.

Credo sia un segno.

Ginocchio e piede ringraziano.

Non li amo e normalmente uso sempre medicamenti alternativi ma purtroppo stasera il mio shopping a Bovec è iboprufene in pastiglie e gel.

Le tappe di mercoledì e giovedì saranno lunghe e con un dislivello impegnativo.

-3 giorni.

Mente, corpo e anima, rimaniamo compatte!



Giorno 25: Bovec - Dreznika

Questa tappa pittoresca corre in gran parte sulla riva sinistra dell'Isonzo e solo verso la fine mi allontano dal fiume.

Uscita da Bovec incontro la campagna più ipnotica di sempre.

Dopo circa un’ora di cammino esco dal sentiero per visitare la romantica cascata di Virje.

Il torrente Glijun, alimentato dalle acque sotterranee della catena del monte Kanin forma questa fiabesca cascata di 20 metri.

L’acqua però è a dir poco gelida e nonostante l’invito al tuffo è inavvicinabile!

Percorro poi il magico bosco dove Walt Disney ha girato il film Le cronache di Narnia.

In tarda mattinata l’orologio mi segna che ho raggiunto 500 km di cammino… un’emozione incredibile!

500 km? Un sorriso per immortalare l’istante magico e “rotondo” di questo traguardo e continuo sul sentiero tra rane che mi saltano sui piedi e api che vogliono mordermi.

Oggi il sentiero è chiuso per gli ultimi 10 km a causa di lavori di manutenzione e la tappa diventa quindi di defaticamento che dopo 25 giorni senza pause va anche bene.

E così mi tocca prendere un bus fino a Drežnica vicino a Kobarid.

Il mio corpo è felicissimo!

Arrivo a Dreznika che ci sono 30 gradi e manca l’aria.

La mia stanzetta nell’unico B&B del paese è monacale ma pulita.

Da una piccola finestra posso guardare le montagne rigogliose e i prati verdissimi.

Ora mi aspettano gli ultimi 2 giorni impegnativi.

La proprietaria del B&B mi fa segno che domani saranno 3 ore in salita durissime… mi consiglia tanta acqua e di partire presto.

Ci penseremo domani!

Rimaniamo nel qui e ora.



Giorno 26: Dreznika - Tolmin

La tappa di oggi è carica di storia, corre su ex sentieri militari e su pascoli alpini del parco nazionale del Triglav collegando i ricordi della prima guerra mondiale allo stile di vita tradizionale degli abitanti di questa regione.

I pendii erbosi sono disseminati di malghe che ancora oggi raccontano la lotta per l'esistenza di allora…

Dopo la salita faticosa di Drežnica arrivo a Planica nella cappella militare italiana risalente alla prima guerra mondiale.

Oggi la tappa mi risulta particolarmente faticosa anche per l’energia che sento ancora viva in questi luoghi così impegnati di sofferenza, di morti, di guerra…

Per questo motivo i miei passi oggi mi portano ad un livello più introspettivo e silenzioso.

Nel mio ritirarmi nel silenzio trovo anche però momenti in cui mi sento estremamente grata alla vita che spesso mi rimanda l’importanza di gioire delle piccole cose, quelle alle quali forse talvolta dimentichiamo di dare il giusto significato nella nostra esistenza…

… così come un biglietto trovato sul letto della camera quando arrivo nella pensione che mi ricorda che domani ci sarà qualcuno ad aspettarmi al mio arrivo

Ogni arrivo è sempre un nuovo inizio.



Giorno 27 (ultima tappa): Tolmin - Monte Kolovrat

E’ qui il punto dove voglio arrivare: il Monte Kolovrat esattamente sul confine tra Slovenia e Italia.

E scelgo questo posto perchè è proprio il punto dal quale posso volgere lo sguardo contemporaneamente sia indietro, verso il sentiero che ho percorso per 27 giorni, sia davanti a me verso quella parte di strada che ancora non ho percorso. Il futuro.

Sento con forza che sia il giusto punto del “cammino della vita”: mentre “convalido” e lascio andare con gioia questi giorni e mentre al contempo lancio un breve sguardo oltre l’orizzonte.

Ma non troppo a lungo… perché voglio rimanere ben salda e radicata a questo momento presente in cui sono ora. L’unico che posso vivere.

Eh così, la vetta del Monte Kolovrat, offre una vista mozzafiato sulle Alpi Giulie. E sulla vita.

Ed eccomi qui a pochi metri dalla fine di questo mio cammino, ascoltando il rumore dell’ultima manciata dei miei passi sul sentiero.

Gli ultimi passi sono sempre i più lenti, ormai lo so.

Sono quelli in cui mentre mi dico che ce l’ho fatta devo anche congedarmi dal sentiero che è stato la mia casa per 27 giorni e 558 km.

Ma non sarà un lungo addio. Lo so già. Non lo è mai.

Porto con me ogni singolo metro di dislivello conquistato, 23.190 in salita e 22.053 in discesa consapevole che sono stati, come sempre, i chilometri dell’anima.

Il cammino più faticoso che io abbia mai percorso e al contempo forse quello più emozionante in cui mi sono attraversata con accoglienza e accettazione quasi completa.

… e sempre ricordando a me stessa “che ogni arrivo non è mai una fine, ma sempre un nuovo inizio”.






 
 
 

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18 set 2024
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