Dolomiti GeoTrail e Alta via 1, Italia
- Dott.ssa Elisa Allocco

- 10 set
- Tempo di lettura: 23 min
Tappa 1
Bletterbach - Corno Nero
Il mio 14esimo cammino in solitaria inizia con un tripudio di emozioni, nell’area geologica più importante dell’Alto Adige.
La Gola del Bletterbach è un canyon naturale tra i più selvaggi d’Europa che mi accoglie con i suoi diversi strati rocciosi fatti di arenaria bianca e rossa e di porfido che raccontano una storia vecchia di 40 milioni di anni. Sono incantata.
Risalgo il Rio delle foglie attraversandolo decine di volte per poter camminare sulle sponde asciutte fatte di mille sassi bianchi mentre ammiro le pareti del canyon che conservano fossili marini dell’età triassica e giurassica.
Abbandonata la gola risalgo vorticosamente attraverso silenti e fitti boschi di conifere verso il Corno Bianco con le sue rocce bianchissime che sono state, 280 milioni di anni fa, scogliere coralline: le Dolomiti, un tempo, erano infatti atolli tropicali con acqua tiepida e cristallina.
Ogni viaggio, ogni trasformazione, inizia con un singolo passo. Così come il nostro cambiamento reale parte solo dall’azione. Non dallo “sperare” che accada.Iniziare, anche senza certezze, significa aprirsi alla possibilità, alla scoperta, al confronto con noi stessi.
Quando accettiamo di camminare verso l’ignoto, sul sentiero come nella vita, iniziamo a costruire una nuova narrazione personale: non siamo più vittime delle circostanze, ma diventiamo protagonisti attivi della nostra vita. Fare il primo passo è un atto di fiducia verso noi stessi, un segno che siamo pronti a diventare la versione più autentica e coraggiosa di chi siamo.Buon primo passo, ovunque tu voglia andare.
Tappa 2
Corno Nero - Passo di Costalunga
Ieri sera, un gruppo di ragazzi ha fatto un casino inenarrabile fino a tardi. Riesco ad addormento a mezzanotte passata.Alle 6 la sveglia suona senza sconti. Dalla finestra ammiro il cielo albeggiare alle spalle degli spigolosi crinali del Gruppo del Catinaccio.
Quando mi immetto sul sentiero, la montagna è ancora dormiente: l’unico rumore che posso udire è quello dei miei passi mentre un’improvvisa bruma mi avvolge in un manto incantato ma a tratti inquietante. Il bosco mi ingloba. Dopo circa due ore di cammino la bruma si dissolve e lascia il palcoscenico al cielo azzurro cobalto. Da qui la salita prima verso la Malga Mayrlam e poi alla Forcella del Forcellone mi uccidono.
I 10 kg dello zaino, 8 + 2 litri d’acqua mi castigano schiena e ginocchia.
Oggi camminerò per 9 ore 34 minuti percorrendo 27,4 km con 1180 metri di salita e 1012 di discesa. Il verso delle marmotte, che riecheggia nella valle, rapisce la mia attenzione proprio quando mi trovo ai piedi del Latamar.
Poi arriva la magia del Lago Carezza che con la sua acqua mi ricorda che sto camminando all’interno di quello che fu 280 milioni di anni fa l’atollo tropicale di Latamar con le sue acque maldiviane.
Mi ci sono volute 7 lunghissime ore e 23,2 km di saliscendi per arrivare fino a qui.Penso che dobbiamo ricordarci più spesso della forza che ci abita.
Non si tratta dell’essere o del rimanere forti a tutti i costi, ma di riconoscere che dentro ciascuno di noi vi è il potere di andare oltre ad una nostra paura, oltre ad ogni ostacolo della mente, oltre ad ogni dolore.
Nei momenti in cui tutto sembra opporsi a noi dobbiamo ricordarci di attingere alla sapienza archetipica che vive da secoli nel dna dell’essere umano, ovvero la capacità di assorbire gli urti della vita ma senza romperci. Quando il sentiero sembra metterci in difficoltà, la vera guida è dentro di noi.
La nostra mappa interiore è fatta di valori, intuizioni, esperienze.
Senza dimenticare che anche nella notte più buia, non siamo mai soli.
Tappa 3
Passo di Costalunga - Alpe di Tires
Un’altra notte difficile: la maledetta porta del bagno in comune che sbatte come un orologio a cucù ogni mezz’ora. Quando esco dal rifugio Paolina il paesaggio scioglie ogni sorta di risentimento.
Arrivata al rifugio Coronelle mi trovo una “NON” ferrata (che di ferrata ha invece proprio tutto, cavi in acciaio e scalette metalliche comprese). Niente: non posso raggirare l’ostacolo: stringo al massimo gli spallacci dello zaino e devo salire.
In cima dico qualche (molte) parolacce e poi continuo.Dopo un’ora arrivo alla forcella del Forcellone. Anche qui tutto fuorché “easy”. Cavi d’acciaio nelle parti più esposte e tanto passo fermo e mani nude sulle rocce nella restante parte.Salendo noto un fiore di ranuculo montano di un giallo cangiante splendere tra le fessure delle rocce. Anche oggi incontro la resilienza.
La montagna stessa, con le sue rocce, è lo spazio che custodisce la solitudine necessaria perchè il fiore cresca. Come a ricordarmi che anche noi possiamo diventare chi siamo nonostante la durezza e l’infertilità di alcuni tratti del nostro “cammino”.
Fiorire significa attraversare un processo spesso invisibile a chi ci circonda, fatto di trasformazioni silenziose, crisi, crescita e consapevolezza.
Fiorire è un movimento verso l’autenticità: è quando iniziamo a vivere in modo coerente con ciò che siamo, anche se questo significa essere imperfetti, vulnerabili o diversi da ciò che il mondo si aspetta.
Oggi il mio cammino è dritto nella preistoria nel cuore del Gruppo del Catinaccio con le sue mille vette e torri rocciose che bucano il cielo. L’ultima salita è quanto di più faticoso abbia mai scalato in 14 cammini in solitaria. Ci impiego un’eternità per lo zaino che continua a tirarmi con violenza verso valle.
Arrivo al rifugio stremata. Mi tremano gambe e braccia.
Ma che spettacolo oggi? Dopo una doccia e la cena dimentico la fatica.Spero lo facciano anche i miei muscoli domani mattina.
Tappa 4
Alpe di Tires - Rifugio Malga Brogles
Stamattina ricompongo con consueta dovizia lo zaino: sono la prima a fare colazione e la prima a lasciare il rifugio. Questo mi consente di godermi le montagne nel silenzio e in quella solitudine che non ha niente a che fare con il sentirsi soli ma è quel luogo in cui si sta bene anche in compagnia di se stessi e dei propri passi.
Oggi la geologia della tappa cambia completamente. Lascio il gruppo del Catinaccio e attraverso la zona vulcanica delle Dolomiti. L’Alpe di Siusi, incastonata tra il Sasso Lungo e il Sasso Piatto, è un tripudio di scorci fiabeschi.Il terreno roccioso lascia spazio a prati lussureggianti e a boschi rinfrescanti.
Le marmotte mi accompagnano per un tratto nella lunga e infinita discesa verso Ortisei: passo senza tregua da 2400 a 1200 metri per poi risalire violentemente fino al rifugio Bruges, destinazione di oggi, a 2045 metri.La tappa oggi è interminabile. Ho i piedi che esplodono e le ginocchia che urlano.
Quando inizio la scalata verso l’altopiano del Rasciesa la magnificenza delle sue rocce vulcaniche mi toglie il fiato (in tutti i sensi).
Oggi rifletto sul fatto che non sempre le discese, sono migliori delle salite.A volte è più difficile “scendere” a compromessi, “abbassare” le aspettative, “abbassare” l’asticella delle pretese che abbiamo verso noi stessi e verso gli altri. Tutto va verso il basso.
Ma “scendere”, nella vita, significa anche lasciarsi scivolare giù, verso il cuore.
Il che è tutt’altro che semplice per la maggior parte di noi.
Noi che troppo spesso viviamo lassù, in alto, nella nostra vetta costantemente perturbata: la mente. Schiavi di pensieri autosabotanti, di paure che non si realizzano e di infiniti rimuginii. Scendere all’altezza del cuore significa tornare alla base solida della nostra vita, come si torna a valle per fare rifornimenti di cibo.
Scendere significa smettere di stare nella nostra “periferia” mentale.
La mente è indispensabile per ragionare, per elaborare, per pianificare.
Ma per tutto il resto, l’unica bussola che non ci farà mai perdere sul nostro cammino della vita, è il cuore.
Tappa 5
Rifugio Malga Brogles - Rifugio Puez
Ieri sera scopro che la Forcella Pana che mi avrebbe permesso di scavalcare oggi la montagna è chiusa per rischio frane. La prima reazione è un movimento tellurico dell’intestino: è adesso?
L’unica soluzione è tornare sui passi della tappa di ieri, riscendere a valle a Ortisei e risalire già dall’altra parte delle Odle. In quattro parole: il giro del mondo. Sono obbligata a prendere il bus da Ortisei a Selva e poi una funivia: non ho abbastanza tempo in un giorno per farlo tutto a piedi.
Nonostante lo sconforto iniziale non demordo. Il passo Val Gardena con le sue tre forcelle Cir, Scharte e Ciampei mi regala emozioni pazzesche! Le pareti di roccia vengono attraversate da complesse vie di arrampicata che sono state la palestra di Reinhold Messner per molti anni. Saperlo mi emoziona.
La fatica di questa tappa fatta di mille peripezie è ripagata dal paesaggio lunare che mi accompagna per circa 3 ore lungo il gruppo delle Odle mentre salgo costantemente verso il rifugio Puez a 2.475 metri. Quando la vita ti mette di fronte a degli ostacoli e ti fa cambiare strada è perché ha in riserbo per te qualcosa di ancora più grandioso.
Stasera camerata da 12. Ho preso il primo lettino a castello a 3 file (mai visti prima), sembrano la torre di Pisa!
I tappi in silicone sono già in branda appoggiati sul cuscino insieme al sexy sacco lenzuolo di seta bianca.In realtà di sexy ha solo il fatto di essere il materiale più leggero che esista… qui si pesa al grammo ogni oggetto che deve entrare nello zaino!
Sarà una long long night…
Per fortuna sono arrivata tra i primi e riesco a fare la doccia quando ancora è “decente”. Faccio la bella lavanderina stendendo all’aria di montagna su romantici fili dietro al rifugio e in attesa della cena rimango seduta in estasi davanti alla magia che ho negli occhi stasera sentendo un brivido dentro.
Tappa 6
Rifugio Puez - Armentarola
I tappi in silicone si rivelano una manna dal cielo, nonostante il concerto di molti baritoni degni di nota. Nel primo tratto, scendendo dal rifugio Puez, mi fermo più e più volte, come se le montagne richiedessero incessantemente la mia connessione e il mio ascolto.In quegli attimi prendo consapevolezza di essere solo una nuvola passeggera nel cielo, un’etereo anelito di vento, un minuscolo granello di roccia. In quegli attimi c’è il perché del mio tornare ancora e ancora ad abitare sentieri e montagne.
Il caldo, insieme ai 1.820 metri totali di discesa ghiaiosa e sassosa, mi distruggono letteralmente i piedi ma il cuore pieno e grato, riesce a distrarmi sufficientemente da resistere fino alla fine della tappa. Senza boschi e la loro ombra, oggi a tratti mi sento su un giro arrosto cotta a puntino.
Arrivata sull’altopiano di Col Alt sento un sussulto dentro mentre ammiro una vista a 360° sulle Dolomiti: qui c’è anche il suo più grande ghiacciaio, la Marmolada. C’è molta gente per via della funivia che da Corvara porta comodamente in cinque minuti sull’altopiano.Man mano però che i sentieri prendono quota ecco che finalmente tornano la pace e il silenzio e posso ritornare ad ascoltare la mia playlist preferita: il suono della natura.
Davanti al Piz Armentarola, perdo definitivamente le parole dall’emozione. Stasera mi faccio il regalo di dormire in un hotel, peraltro l’unica possibilità lungo tutto il percorso, e mi concedo anche un massaggio dalle sapienti mani di Greta che rimette a nuovo la carrozzeria pronta per proseguire per i prossimi 17 giorni.
Tappa 7
Armentarola - Rifugio Pederü
Stamattina me la prendo un po’ più comoda. La tappa è intensa ma non lunghissima e devo ricordarmi anche di dosare le energie avendo ancora davanti due settimane e mezzo di cammino. Lasciata Armentarola, incomincia una ripida salita fino al cuore del Gruppo di Fanes, dove un dolce pianoro mi accoglie con panorami pazzeschi per tutta la giornata.
Oggi percorro alcuni tratti che coincidono con l’Alta via 1 che mi ritroverò a risolcare tra 5 giorni ma in senso contrario arrivando dal lago di Braies. È da sempre un mio desiderio quello di ripercorrere i cammini che ho già fatto ma nel senso opposto.
Voltarmi indietro durante i miei cammina mi aiuta spesso a ricordarmi che ogni salita ha avuto un senso, ogni fatica ha lasciato un’impronta dentro la mia anima e ha fatto parte del percorso che mi portato fin dove sono arrivata. Lo stesso vale nella vita.
Piuttosto che giudicare il passato e giudicarci con frasi auto sabotanti come “se avessi fatto” o “se avessi detto” dobbiamo fare pace con tutto quello che ora sarebbe troppo facile cambiare ma che allora, per mille motivi, non avremmo potuto fare diversamente… altrimenti lo avremmo fatto!
Voltarsi indietro allora diventa un gesto sacro: significa dare dignità alla propria storia accettando che anche i momenti di smarrimento, le deviazioni, i passi falsi, siano stati parte integrante del cammino.
E se è vero che gli occhi devono tornare a guardare avanti per non inciampare sul sentiero, è altrettanto vero che solo chi si è voltato indietro con onestà e compassione verso il passato, può andare avanti con pace e consapevolezza verso il futuro.
Tappa 8
Rifugio Pederu - Prato Piazza
Stanotte c’è stato un fortissimo temporale ma oggi, al mio risveglio, è un altro giorno grandioso sulle Dolomiti. È stato un piacevolissimo tempo, quello trascorso al Rifugio Pederü accolta da Miriam, suo marito e le loro tre bimbe con un’ospitalità che è arrivata dritta al cuore!
Quando lascio il rifugio mi aspetta una vorticosa e sfiancante salita fino al rifugio Senes prima e al rifugio Biella dopo. Impiego ben due ore per percorrere solo 5 km ma da quassù il paesaggio mi fa dimenticare presto ogni sforzo e ogni fatica.
Oggi cammino ammirando l’incantevole vista sulle Dolomiti cortinesi e sul gruppo di Fanes che ho attraversato ieri. Superata la forcella di Cocodain arrivo alla Malga Rossalm dove conosco l’eclettico proprietario Ebse. L’ultimo sforzo è superare una forcella con tratti esposti ma dotata di corde di acciaio di sicurezza.
Oggi sono stati 23 km di silenzio spezzati solo dallo scricchiolio degli scarponi sul ghiaione o dal sussurro del vento.Ho attraversato vallate antiche modellate da milioni di anni di mutamenti, mari che si sono ritirati, picchi che si sono sollevati dal fondo dell’oceano, testimoni silenziosi della trasformazione.
Oggi ho pensato molte volte: se anche queste montagne hanno saputo cambiare, allora possiamo farlo anche noi.
Cambiare non è un atto di incoerenza ma semmai è la conseguenza di un affinamento della e verso la nostra personalità.
Cambiamo per diventare sempre più fedeli a noi stessi e alla nostra anima. Solo così evolviamo. Non c’è altra via.
Nel tratto finale verso Prato Piazza, dove l’orizzonte si apre e le montagne sembrano allungarsi in un abbraccio, ho ripensato alle persone che ho amato e che mi hanno insegnato qualcosa. Ho pianto, sì. Ma non di dolore.
Di riconoscenza.Perché la gratitudine è questo: riconoscere che ogni cosa ha avuto senso, anche quando non lo vedevamo. Che ogni roccia sul sentiero, come ogni evento della nostra vita, ha il suo posto e il suo tempo e che la bellezza, alla fine, non è nelle cose che abbiamo evitato ma in quelle che abbiamo attraversato.
Tappa 9
Prato Piazza - Rifugio Locatelli
Una bellissima partenza da Prato Piazza con la vista suggestiva sull’arco alpino, dove svettano il gruppo del Cristallo e la Croda Rossa.
Ma oggi la grande sfida è la lunga e ripida salita che in 3 ore mi porta in stile camoscio nel luogo più iconico di questo viaggio nonché simbolo delle Dolomiti dal 2009: le Tre Cime di Lavaredo. Maestose e inconfondibili, dal sentiero, ne posso ammirare le pareti nord della triade.
Salendo verso il rifugio Locatelli, c’è di tutto: gente in flip flop, gente in costume, gente che scende dalla montagna senza sapere neppure la regola basilare della montagna: chi sale ha sempre la precedenza, dato che è in una condizione di fatica.
E invece ti vengono addosso come se la strada fosse loro e rischiano anche di buttarti a terra. Insomma la poesia del luogo in alcuni tratti si frantuma ma la vista delle Tre Cime arrivando al rifugio Locatelli rapisce tutta la mia attenzione e la mia emozione ed è come se fossi sola.
Al rifugio, per la prima volta in uno dei miei cammini, sono completamente isolata senza rete cellulare per due giorni.
All’inizio mi sembra strano ma poi mi siedo fuori dal rifugio a guardare le montagne e mi rendo conto che c’è tutto quello che mi basta.
Penso a quante volte nella vita crediamo di dover aver bisogno di tutta una serie di cose per essere felici.
Ma la felicità in realtà è una cosa molto più semplice di quella che ci immaginiamo o che crediamo.
La felicità è un insieme di attimi da costruire e nutrire, non è una condizione che una volta raggiunta diventa una terra conquistata per sempre.
La felicità non è qualcosa da raggiungere ma qualcosa che siamo noi a dover alimentare partendo da noi stessi.
Come? Scegliendo e coltivando alcuni pensieri invece che altri, “appoggiando” la nostra attenzione sull’abbondanza della nostra vita e non su quello che manca.
La felicità parte dalla nostra visione del mondo, dalla nostra prospettiva delle cose.
Ma ancor di più la felicità è proporzionalmente legata alla nostra capacità di stare nel presente, l’unico tempo che possiamo veramente abitare.
Tappa 10 e 11
Anello delle 3 Cime di Lavaredo - Valle di Braies
Stamattina la sveglia suona alle 5: vado ad incontrarmi con una delle albe più incredibili che abbia mai visto. Dalla terrazza del rifugio Locatelli dove dormo per 2 notti si gode della vista di una delle più spettacolari e conosciute scenografie delle Dolomiti: le Tre Cime di Lavaredo diventate anche simbolo di questo paradiso montano dal 2009 anno in cui sono diventate patrimonio dell’Unesco.
Le Tre Cime sono costituite da una potente successione di strati di “dolomia” dal naturalista francese Déodat de Dolomieu che fu il primo a studiare la particolare composizione geologica della roccia carbonatica che venne chiamata in suo onore, appunto, “dolomia”.
Tutto incredibile… l’unica difficoltà è che a causa della siccità non posso fare la doccia per 2 giorni e neppure lavare i vestiti e ovviamente dormo in camerata! Insomma… 2 giorni intensi! Lo spirito di adattamento è fondamentale per l’essere umano. Il problema è che siamo diventati intolleranti a tutto e a tutti.
Nella vita, a volte, per raggiungere alcuni traguardi o semplicemente per avere la spinta a sperimentarci in qualcosa di nuovo dobbiamo mettere in conto di uscire dalla nostra zona di comfort e varcare confini che in fondo potrebbero non rivelarsi così drammatici come la nostra mente ci voleva far credere.
È così mi sono lavata a pezzi con un pò di acqua del lavandino e delle salviette, ho rimesso la maglia puzzolente per 2 giorni, ho dormito forse 5 ore per notte in camerata.
Ma le emozioni provate hanno vinto su tutto.
Quando siamo sul “sentiero” giusto della nostra vita, per quanto a volte possa essere faticoso, tutto diventa parte del viaggio.
Quando siamo su quello sbagliato, tutto ci pesa e tutto diventa causa di paura, ansia, stress, insoddisfazione, malessere.
Ci sono migliaia di indicatori nella nostra vita che ci avvisano in questo senso ma noi li ignoriamo: talvolta perché “dobbiamo”, altre perchè ci sono in ballo “aspettative”, altre perchè “la gente…”, altre perchè “non possiamo deludere”, altre perchè pensiamo di non poter fare un cambiamento. Ma cosa rischiamo di perderci?
Tappa 12
Lago di Braies - Rifugio Pederü
L’alba sul lago di Braies è una tavolozza liquida di turchese e oro. Il silenzio è così intenso da sembrare una voce e al contempo una presenza. Fuori ci sono appena 6 gradi mentre il sole fa capolino sulle creste della montagna.
Mi fermo qualche minuto sul pontile a osservare le montagne riflesse nell’acqua.
Poi prendo coraggio e inizio la Via 1 che con la sua salita ripida e costante di 930 metri in soli 5 km mi porta fino alla Forcella Sora Forno a 2.384. In cima alla forcella, respiro il paesaggio: la Croda del Becco mi osserva da dietro, severa e maestosa.
Rifletto su quanto la fatica fisica sia spesso un’alleata della chiarezza mentale.
Quando il corpo si sfianca, l’ego smette di parlare troppo, la mente tace e nel silenzio affiora l’essenziale.La montagna ha questa forza primordiale: ti spoglia delle sovrastrutture e ti riporta all’essenziale. Questo è uno dei motivi per cui continuo a tornare ancora e ancora sui sentieri: per ricordarmi quanto sia fondamentale riconnettermi, attraverso la natura, con me stessa. Dal rifugio Biella il sentiero coincide, seppure in senso contrario, con una tappa del Dolomiti GeoTrail concluso ieri.
L’ultima parte della giornata è la violenta discesa verso il Rifugio Pederü: un tratto su strada militare che mette a dura prova ginocchia e piedi.
Al mio arrivo ritrovo Miriam e Walter ad accogliermi a braccia aperte dopo il nostro primo incontro 5 giorni fa.
Mi fanno sentire a casa.
A ricordarmi che “casa” non è un luogo ma sono le persone speciali che incontriamo sul nostro cammino.
Tappa 13
Rifugio Pederü - Rifugio Fanes
Ieri pomeriggio arriva al Rifugio un rumoroso gruppo di americani.
L’insediamento in camerata è di natura bellica. In pochi minuti prendono posto e si allargano nello spazio lasciando pochi centimetri liberi. Io rimango arroccata alla mia branda senza mollare i miei 30 cm di perimetro oltre ai bordi del letto, una sedia e un comodino.
Non mi avrete mai! Per fortuna il mio letto è vicino alla porta evitandomi l’attraversamento del campo minato fatto di ciabatte lanciate, borse, borsine e borsoni e una serie di borracce.
Alle 20.30 mi infilo nel letto e inizia lo show: le donne che sfoggiano camice da notte con sopra lunghe vestaglie e gli uomini pigiami a righe rigorosamente blu… e io che dormo in mutande con la stessa maglietta con cui camminerò domani… Tutto si spiega nell’espressione algebrica: io sto ai 10 kg di zaino come gli americani stanno a Oscar.
E chi è Oscar? Un mulo di 800 kg che viene caricato ogni giorno di 120 kg in modo da permettere agli americani di camminano leggeri! Dopo la sfilata si impossessano anche della gestione delle finestre che rimangano spalancate per tutta la notte mentre io dormo con anche la testa infilata sotto al piumino. Anche questo fa parte del cammino.
Ieri ho percorso una tappa e mezza e oggi mi ritrovo quindi con poche ore di cammino a concludere la metà mancante. In compenso nel pomeriggio lavoro e quindi nel complesso risulta una giornata bilanciata.
Alle 17 inizia a piovere e alle 19.30 grandina.
Le previsioni sono di pioggia per un paio di giorni. Mi preparo psicologicamente. Rimango nel presente. Amen.
Tappa 14
Rifugio Fanes - Rifugio Lagazuoi
Il mio mantra di oggi è “piano e concentrata”. Le rocce sono scivolose e in alcuni tratti il sentiero si fa stretto e richiede passo fermo e sicuro. In cima al primo passo trovo anche la neve. All’altezza di 2117 metri imbocco il sentiero che sale verso la Forcella del Lago a 2486 metri passando tra la Torre del Lago e la Cima Scotóni nel Gruppo di Fanes.La salita alla Forcella, tra la pioggia battente e la fitta coltre di nebbia che abbraccia silenziosamente le imponenti montagne, sono un’esperienza quasi mistica.
Quando arrivo in cima la discesa mi fa strizzare lo stomaco per qualche secondo. Poi faccio un lungo respiro e inizio il ripidissimo sentiero di ghiaia fino a raggiungere il piccolo Lago Lagazuoi. Durante la discesa mi accorgo che le mani sono diventate rosse dal freddo mentre in alcuni istanti la pioggia sembra nevischio.
Mi rimangono ancora 2 sforzi da fare: la seconda forcella, quella di Lagazuoi, e la salita al Rifugio.
Nell’ultimo tratto vado avanti di due passi e la ghiaia mi riporta indietro di uno. Questo movimento alquanto frustrante che mi fa impiegare un’eternità a conquistare il rifugio mi fa ricordare che la nostra crescita personale, i nostri progressi, non sono mai lineari né immediati.
Nella vita spesso i nostri cambiamenti implicano avanzamenti seguiti da momenti di incertezza, di revisione, o persino di regressione.
Questi passi indietro non sono fallimenti ma tappe necessarie che ci permettono di consolidare il terreno, di ricalibrare la direzione e di acquisire nuova consapevolezza.
Ed ecco che allora, nel mio costante e regolare avanzare, affino il giusto spazio tra i miei passi e la giusta inclinazione del corpo rispetto al terreno.
Il mio arrivo al Rifugio è in una nebbia così fitta che potrei tagliarla con un coltello.
Mi tolgo i vestiti fradici nonostante la giacca e i pantaloni da pioggia e mi godo la doccia calda sapendo già che domani non ci sarà la possibilità di farla…
Tappa 15
Rifugio Lagazuoi - Rifugio Nuvolau
Stamattina mi sveglio prestissimo, le previsioni danno pioggia a metà mattinata e voglio cercare di arrivare il prima possibile al rifugio per evitare di ridurmi a zuppa e pan bagnato anche stasera.
Il primo regalo della giornata è un’alba spettacolare che ammiro prima che la nebbia si impossessi nuovamente del panorama insieme alla pioggia. Sono la prima a fare colazione e la prima a lasciare il rifugio.
Ed è grazie al silenzio che regna lungo i miei passi che, dopo circa un’ora, arriva il secondo regalo della giornata: l’incontro con un gruppo di camosci alpini che si muovono velocemente tra le montagne e che sembrano scortarmi per un tratto aspettandomi.
A fine mattinata incomincia a piovere pesantemente ma in realtà sono già molto vicina al rifugio dove dormirò stasera. Poco prima incontro un altro rifugio, l’Averau.
Entro per asciugarmi un pò prima della salita rocciosa e scivolosa al Rifugio Nuvolau: quando scendo nei bagni passo davanti ad un locale con su scritto “lavanderia”: mi illumino d’immenso!
Ci sono una lavatrice e una asciugatrice a gettoni. In bagno c’è anche un fantastico asciugatore per mani ad altezza testa… Compro i gettoni, mi chiudo nel locale lavanderia e con le mitiche salviette faccio una doccia “dry” e metto tutto a lavare. Aspetto 1 ora e 30 minuti per lavaggio e asciugatura ed esco dal rifugio come nuova profumando di coccolino.
Quando saluto ed esco, il mio sorriso è quasi da ebete. Solo un pellegrino o trekker che deve lavarsi la biancheria ogni sera per settimane può capire la gioia di avere i vestiti lavati in lavatrice!
Poco dopo l’ora di pranzo arrivo al Rifugio Nuvolau, un rifugio storico del CAI situato sulla cima del monte Nuvolau, a 2.575 metri.Si tratta del rifugio più antico delle Dolomiti costruito nel 1883 e offre una vista panoramica a 360 gradi sui principali gruppi dolomitici.
A metà pomeriggio il cielo si squarcia per pochi minuti poi si annebbia.
Stasera rimango per ore ad ammirare uno dei più incredibili tramonti che abbia mai visto. Mi sembra di guardare giù, sulla terra, stando seduta sulle nuvole. Domani sole!
Tappa 16
Rifugio Nuvolau - Rifugio Passo Staulanza
Stanotte è piovuto e in molti tratti il sentiero è pieno di fango e agguati scivolosi.Oggi attraverso diverse forcelle, la Zonia, la Piombin, la Giau, la D’Ambrizzola e infine la Col Duro.
Il tutto per conquistare il Rifugio Passo Staulanza da cui posso ammirare la magnifica parete del monte Pelmo e raggiungere con la fine della tappa 300 km di cammino, tondi tondi.
Oggi, dopo circa 1 ora e mezza dalla partenza, ho lasciato il sentiero.
Non per errore, né per necessità.Ho abbandonato per un’ora il ritmo della marcia, le quote, i cartelli bianchi e rossi a indicarmi la via.
L’ho fatto per riabbracciare un’amica. Mi sono chiesta perché, tra tanti rapporti che si consumano nel tempo come neve al sole, alcuni invece si cristallizzano e diventano roccia. Credo sia perché si fondano su qualcosa di nudo e sincero: la libertà.
Libertà di non essere sempre d’accordo. Di perdersi per qualche istante, di non capirsi ma scegliersi comunque, se possibile più forte di prima.
Come i sentieri in alta quota: a volte divergono, si perdono nel bosco o si nascondono dietro una curva, ma poi si ritrovano, inevitabilmente, verso lo stesso orizzonte.
C’è una bellezza animica nell’amicizia, come in certi amori, che resiste al tempo e alla distanza. L’amicizia autentica è un legame che non si impone, che non pretende, ma accoglie. Ci accoglie.
Ho pensato a quanto le vere amicizie siano simili alle montagne: non hanno bisogno di spiegarsi per esistere.
Stanno lì, solide, con qualsiasi bollettino meteo, per tutto il tempo con semplicità e cura.Arrivando al Rifugio Staulanza, con il cielo che cominciava a mutare colore e la luce del giorno che si ritirava piano tra le cime, mi sono domandata: quante volte nella vita abbiamo il coraggio di deviare solo per un abbraccio?
E quante volte, in fondo, è proprio quell’abbraccio a rimetterci in cammino?
Tappa 17
Rifugio Passo Staulanza - Rifugio Coldai
La giornata inizia con una bella carica e la voglia di continuare ad esplorare.Poi, dopo la salita al Col dei Baldi, ho un piccolo tracollo complice la stanchezza di 17 giorni di cammino senza sosta. E allora penso alla mia scelta, ogni volta, di camminare da sola.
C’è una differenza sottile, ma sostanziale, tra la solitudine che ci cade addosso e quella che scegliamo. La prima pesa, graffia e isola.
La seconda nutre, chiarisce, restituisce spazio.Scegliere la solitudine non significa rifiutare il mondo ma ritrovare un tempo in cui poterci ascoltare senza interferenze. È un atto di libertà e di coraggio: libertà di decidere di fermarsi, di sottrarsi al rumore, per abitare se stessi con più autenticità.
Coraggio non rispetto a cosa può accadere sul sentiero ma coraggio di riuscire a stare in pace per giorni e giorni in compagnia di se stessi.
Nella solitudine scelta possiamo assecondare i nostri ritmi e bisogni, possiamo lasciar cadere i ruoli che ricopriamo nella vita, possiamo tornare ad onorare i tempi dell’anima.
Dobbiamo ricordarci sempre che prima di essere mariti, mogli, figli, fratelli, padri, madri, lavoratori, imprenditori… siamo individui con esigenze e bisogni che vanno coltivati e nutriti.
La realizzazione dei nostri ruoli nella vita dipende dalla nostra auto realizzazione come individui, come persone.Jung diceva che “la solitudine non viene dall’essere soli, ma dall’essere incapaci di comunicare le cose importanti agli altri”.
Come a dire che la vera solitudine non è assenza di persone, ma distanza da sé stessi.
Quando scegliamo di stare soli, non ci allontaniamo dagli altri ma creiamo lo spazio per tornare in contatto con ciò che dentro di noi ha bisogno di voce.
Anche il far chiarezza dentro di noi a volte richiede momenti di separazione.
Quando siamo troppo dentro alle situazioni solo allontanandoci di qualche passo possiamo averne una visione più ampia, obiettiva e consapevole.
L’anima cresce quando incontra i suoi silenzi: nel silenzio della solitudine che scelgo in ogni cammino non c’è vuoto, c’è trasformazione, c’è vita.
Tappa 18
Rifugio Coldai - Rifugio Vazzoler
Nel rifugio di stanotte dormo in una stanza con cinque letti che ha gli spazi per due. A malapena riesco ad infilarmi nel sacco lenzuolo senza infilarmi anche nelle brande delle altre ragazze.
Oggi attraverso il gruppo della Civetta: pareti maestose e silenziose che mi entrano dentro e mi toccano nel profondo.
La sensazione è di una guarigione dell’anima, come se le montagne lenissero ogni peso, ogni pensiero, ogni malinconia.
A pochi minuti dal rifugio Coldai ammiro un piccolo smeraldo incastonato nel gruppo del Monte Civetta: l’omonimo lago Coldai.È incredibile come da prospettive diverse, mentre lo circumnavigo, il lago continui a mutare così tanto che da non sembrate neppure lo stesso.
Nella vita spesso guardiamo le situazioni mantenendo il medesimo sguardo e approccio ma pretendendo che qualcosa muti. Ma se vogliamo veramente che qualcosa cambi nella nostra vita, dobbiamo allacciarci le scarpe, andare a camminare lungo tutta la sponda del lago e notare che cosa ci stia sfuggendo, che cosa non vediamo, che cosa ignoriamo stando imbalsamati e immobili arroccati nel nostro castello.
La prima cosa che ci viene da dire, di fronte ad un cambiamento o a una difficoltà è: “eh ma è difficile”.
Certo, non è facile fare il primo passo: caricarsi lo zaino del dolore, dell’insoddisfazione, dell’ansia, della paura e iniziare a camminare verso l’ignoto.
Ma solo l’azione può permetterci di fare quel passo che ha il potere di scardinare convinzioni e paure.
Perché quando vediamo le cose da altre angolazioni le paure si sgretolano e la speranza, la forza, la fiducia iniziano finalmente a fluire.
Come spesso dico anche ai miei pazienti, perché ci sono passata anche io in tanti momenti della mia vita, per rinascere bisogna anche un pò morire.
Se vogliamo rinascere, dobbiamo prenderci la responsabilità di spostarci dal luogo in cui soffriamo e permetterci di lasciare quelle parti di noi che non ci permettono più di avanzare nel cammino della vita. E allora, quel “difficile”, diventerà “possibile”.
Tappa 19
Rifugio Vazzoler - Rifugio Carestiato
Oggi il cammino mi insegna quanto sia sottile il confine tra il richiamo all’avventura e l’imprudenza. Mentre avanzo nel silenzio della montagna lungo le pareti della Moiazza, che fa parte della catena del Monte Civetta e costituisce la sua propaggine meridionale più selvaggia, incontro 4 uomini del soccorso alpino.
Due ragazzi, usciti dal sentiero, si sono persi tra i versanti. Ore di ricerca, attesa, paura.
Li aiuto per un pò.
Solo nel tardo pomeriggio al rifugio saprò che sono stati ritrovati. Di questi soccorritori alpini mi ha colpito la loro dedizione: persone che partono senza esitare, che conoscono la montagna e che si prendono cura di chi, spesso per leggerezza o forse per smania di avventura, dimentica una regola semplice ma essenziale: non bisogna mai sfidare la montagna e neppure la propria in-esperienza! Ho pensato a quante volte, anche nella vita, usciamo dal “nostro sentiero”.
Cerchiamo scorciatoie, deviazioni che ci sembrano più facili o più veloci per evitare il dolore, per raggirarlo. Ma a forza di allargarci ci allontaniamo così tanto da ritrovarci ancor più dispersi di prima, senza punti di riferimento, in balia della paura.
Rimanere sul sentiero significa accettare quello che dobbiamo attraversare.
E ognuno di noi è chiamato a farlo. Il problema è che troppe volte non ci fidiamo di noi stessi, ci lasciamo guidare dalle preoccupazioni, dalla mente, dalla promessa di “sentieri” che ci faranno stare meglio… ma che sono solo momentanei pagliativi: gocce, goccine, pasticche… ma il problema, come quel tratto di sentiero che continuiamo a voler “saltare”, rimane lì ad aspettarci riproponendosi, identico, finché non decidiamo di percorrerlo.
La vita ci mette davanti sempre la stessa “strada” finché non troviamo il coraggio di attraversarla.
Tappa 20 e 21
Rifugio Carestiato - Rifugio Pian de Fontana
Due giorni fa ho preso una decisione: accorpare le ultime 4 tappe percorrendole in soli 2 giorni. Ormai da qualche giorno impiego metà del tempo segnalato e previsto dalla guida e finisco per arrivare molto presto nei rifugi. Sono molto stanca ma al contempo, dopo 20 giorni di cammino, le mie gambe sono molto allenate.
Penso a quante volte il corpo si lamenti sul cammino come nella vita e noi non lo ascoltiamo. Ogni tratto difficile mi ricorda, come la discesa “spezza gambe” di oggi, che anche nella vita non possiamo avere sempre controllo o certezze: quello che possiamo fare è coltivare presenza in ciò che facciamo finendo per farlo bene, onorare il nostro respiro, ovvero l’essere vivi, e affidarci al passo successivo come qualcosa che ha un senso per noi e per la nostra crescita personale, anche quando questo significa passare attraverso alcune profonde sofferenze.
Camminare mi insegna sempre. E’ un atto di fiducia: non importa quanto corra la mente, il corpo può muoversi solo un passo alla volta. Ecco nella nostra vita è lo stesso: non possiamo vivere tutto insieme, non possiamo saltare le fatiche o correre alle mete, raggiungere risultati immediati.
Dobbiamo imparare a stare nei nostri tempi di mente e di corpo, abbracciandoli, non combattendoli.
Sottovalutiamo troppo spesso il nostro corpo e i suoi messaggi.Siamo quasi tutto il tempo ancorati alla mente e alle sue lugubrazioni.
Quando siamo tristi, arrabbiati, ansiosi, persi… usciamo a camminare ma non per 10 minuti: per un’ora, due, quelle che ci servono perché si ristabilisca quell’equilibrio tra mente e corpo.
A proposito di corpo: al rifugio c’è l’acqua ma solo fredda che a 2000 metri di altitudine significa gelata. Non vedo l’ora di farmi una doccia bollente senza gettone (quando ho avuto la possibilità di fare la doccia è stato con un gettone a pagamento per un massimo di due minuti di acqua)!
Tappa 22 e 23
Rifugio Pian de Fontana - Belluno
Ogni arrivo porta con sé la dolce illusione di un “completamento” ma in realtà è sempre un nuovo inizio: qualcosa si chiude e, nello stesso istante, qualcosa si apre.
Camminare mi insegna ogni volta, dopo 14 cammini percorsi in solitaria, che la vita è costellata da continui sentieri e continue morti e rinascite: della mente, del corpo e dell’anima.
Non esistono finali definitivi: ogni conquista diventa il terreno fertile per un nuovo inizio, per nuove domande, per nuove direzioni interiori.
E allora non serve temere le conclusioni, né rincorrere le partenze: basta restare fedeli a se stessi, alla propria anima, fiduciosi che ogni cosa che troviamo sul nostro sentiero della vita non arriva per distruggerci ma per darci la possibilità di evolvere.
Perché la vita, proprio come il cammino, non si ferma mai.Il sentiero insegna questo: ciò che termina è solo il preludio di ciò che sta per nascere.
IL MIO CAMMINO “IN BREVE”
Sentieri percorsi: 11 giorni sul Dolomiti GeoTrail +10 giorni sull’Alta via 1
21.734 metri D+
16.582 metri D-
354 km percorsi
20 rifugi (Hut)
6 Parchi naturali attraversati
Parco Naturale Sciliar-Catinaccio
Parco Naturale Puez-Odle
Parco Naturale Fanes-Sennes-Braies
Parco Naturale Tre Cime
Parco Naturale Dolomiti d’Ampezzo
Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
11 Gruppo Dolomitici scalati
Sciliar
Catinaccio (Rosengarten)
Odle
Puez
Sennes
Tre Cime di Lavaredo
Braies
Fanes
Dolomiti Ampezzane (Lagazuoi, Tofane)
Dolomiti Settentrionali di Zoldo (Pelmo, Civetta)
Dolomiti Meridionali di Zoldo (Moiazza, Prampèr, Schiara)
Dedico questo cammino a mia madre e a tutte le donne in cammino in solitaria sui sentieri di montagna e su quelli della vita: siamo una forza!



























































































































































































































































































































































































































































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