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Cammino di Sant'Olav - Gudbrandsdalen, Norvegia

Aggiornamento: 19 apr 2024







 Arrivo ad Oslo.

Alle 15.40 atterro puntuale all’aeroporto di Oslo.

Durante il volo mi trovo simpaticamente  seduti al mio fianco due ragazzi poco più che ventenni che pianificano, in auto, lo stesso tragitto che io percorrerò a piedi. 

Ascoltando i loro racconti mi sento una specie di marziana, attempata, in via di estinzione. O semplicemente pazza. Si, certo, la seconda opzione è oggettivamente molto più realistica mantenendo della prima l’aspetto anagrafico che non posso negare. 

Così, mentre loro affittano gasatissimi l’auto, io guardo ipnoticamente il nastro degli oggetti “oversize” in attesa delle mie fedeli e uniche compagne di viaggio, le stecche da trekking, per poi salire sul treno che in mezz’ora mi porta veloce nel cuore della capitale. 

 

A Oslo, zaino in spalla, percorro i primi passi da pellegrina annusando a testa in sù, come una bambina piccola piccola, l’aria elettrica di un posto mai visto e tutto da scoprire pronta a iniziare un nuovo cammino questa volta sulle antiche tracce di Sant’Olav il Re Vichingo soprannominato “il coraggioso” che nell’anno 1030 cadde sul campo di battaglia in nome del cristianesimo che portò in Norvegia diventando prima una leggenda per poi essere proclamato santo.

 

Il cammino di Sant’ Olav è il cammino spirituale più a Nord d’Europa che percorre le sperdute foreste conifere della Scandinavia per poi spingersi sugli inospitali quanti incantati altopiani del Dovrefjell lungo un sentiero di circa 700 km che attraversa tutto il Regno di Norvegia.

 

Se forza e animo mi sorreggeranno camminerò per circa un mese partendo dalle rovine dell’antica Cattedrale di Oslo, Sant'Hallvard, fino a raggiungere la Cattedrale di Nidaros sul fiordo di Trondheim meta del pellegrinaggio che conserva le reliquie di Sant’Olav e che ora mi sembra solo un puntino minuscolo nonché strano da pronunciare, lassù, da qualche parte affacciato sul Mare di Norvegia. 

Emozionata mi metto a letto. 

Domani è il grande giorno. Domani si parte. 

 

 


1 Tappa: Oslo - Olavsgärd

Un nuovo giorno che inizia, una nuova partenza, un nuovo viaggio. 

Tutto emozionate e magico se non fosse che… alle 5.55 parte la sirena antincendio dell’ostello con un volume così assordante che con un salto mi scopro a fare invidia anche a Spider-Man ritrovandomi praticamente attaccata al neon del soffitto. 

Prendo telefono e portafoglio, apro la finestra per sentire se c’è odore di fumo e poi esco, in mutande, sul pianerottolo. 

Per fortuna dopo qualche secondo si spegne (la sirena 😜). Mi lavo la faccia con l’acqua che sembra sgorgare dal rubinetto, gelida, direttamente dal ghiacciaio Svartisen: la riconnessione con la realtà è istantanea, con effetto lifting incluso. Perfetto. 

 

Scendo a fare colazione, siamo proprio in Scandinavia: aringhe, merluzzo e salmone. Per fortuna trovo in un angolino di 30 cm x 30 cm qualcosa di meno scioccante (il che dopo la sirena e l’acqua del ghiacciaio mi spetterebbe comunque di diritto), mi preparo due panini per il pranzo on the road, lavo i denti e parto.

 

La città mi si presenta sotto una coltre di nubi grigie scuro fino alle otto quando finalmente il cielo si squarcia ed esce il sole.

 

Oggi si iniziano a contare i chilometri dai resti dell'antica cattedrale di Sant'Hallvard, della quale non rimangono che poche pietre da cui si intuisce il perimetro originario. In questa chiesa venivano sepolti i re di Norvegia e i pellegrini venivano in massa per porgere omaggio alle reliquie del santo.

Mi imbatto nell’antico e iconico ceppo di pietra con la croce di Olav e la scritta che riporta il numero dei chilometri da colmare: “643 km til Nidaros” anche se in realtà il percorso nei secoli si è ampliato e così i suoi km, a causa di strade che oggi non sono più praticabili. 

 

I primi 12 km li percorro nel rumore della città, attraversando asfalto, autostrade e zone industriali. Ho voglia di scappare da tutto questo, poi, finalmente incomincio ad incontrare le prime chiese: prima quella di Østre Aker con accanto un cimitero tipico norvegese tra alberi secolari e distese d’erba, poi quella di Furuset dove mi faccio apporre un bellissimo timbro sul passaporto del Pellegrino. 

 

Finalmente mi lascio alle spalle il frastuono delle auto e delle fabbriche e mi avventuro nella foresta di Gjelleräsen al cui ingresso trovo due campane: l'Oldtidsveien fino al 1770 è stata la strada più importante per raggiungere Oslo e su questa collina il sentiero diventa talmente stretto che due cavalieri non potevano passarci contemporaneamente, quindi il primo che suonava la campana avvisava l'altro di avere la precedenza. Mi fermo, chiudo gli occhi e mi catapulto nell’anno 1000 immaginando la scena: 

emozionante!

 

A metà pomeriggio arrivo a Olavsgaard dove resterò a dormire per la prima notte. 

Inauguro la stagione della bella lavanderina, necessaria e doverosa, ceno con trota, asparagi e le immancabili patate al forno con la buccia per poi tuffarmi nelle braccia di Morfeo.

Domani sveglia all’alba, il caldo è venuto a bussare anche sul cammino di Sant’Olav, si parte presto. 

 


2 Tappa: Olavsgärd - Kløfta

Ieri sera, uscendo a cena, avevo lasciato la finestra della camera aperta per fare asciugare i vestiti. Tornata, entrando in camera, conto 12 mosche che si presentano agguerrite e di quelle che mordono! Diventa la serata delle mosche moleste. 

Dopo vari litigi con tutte e 12, nessuna esclusa, mi arrendo, non riesco a dormire. Scendo alla reception e con fare assertivo chiedo gentilmente di intervenire. Dispiaciutissimi mi fanno l’upgrade della camera: diciamolo, quella di prima era davvero una minuscola stanzetta sgangherata mentre salendo di un piano mi trovo in un ambiente completamente diverso mi sento quasi spaesata da tanta differenza ma felice come una bambina che ha vinto l’orsetto più grande alle giostre. Traslocata tutta la mia roba da una stanza all’altra finalmente dormo.

 

Nonostante parta presto alle 8 ci sono già 22 gradi che in Norvegia sono tanti per questo orario per poi arrivare, alle 12, a 29 che sono decisamente altrettanto extraordinari!

Stamattina, per colazione, insieme al cibo mi servono anche musica disco rigorosamente norvegese. Il risveglio è tragicamente assicurato. 

Quando esco e incomincio a camminare sto ancora muovendo la testa avanti e indietro a ritmo della cover trash norvegese di “Rhythm is a dancer” degli Snap.

 

Anche oggi, pur essendo ormai lontana da Oslo, incontro ancora molto asfalto che si intervalla a brevi strade di ghiaia e a tratti di foreste. Sulle strade sterrate costeggio le prime fattorie tipiche norvegesi caratteristiche per il loro colore rosso: ho scoperto solo oggi che sono di questo colore semplicemente perché a quei tempi la vernice di quella tonalità era la più economica.

 

Accanto alle fattorie corrono infinite distese di grano dorato che mi fanno pensare al Piccolo Principe e la sua volpe. Mi immergo così tanto nel paesaggio che perdo il sentiero e sono costretta a ritornare indietro di un chilometro prima di ritrovarlo. Un chilometro sembra relativamente poco ma quando si cammina per giorni ogni passo è guadagnato e ogni metro sudato… 

 

Ieri poi ho spedito a casa dell’abbigliamento, rinunciando così ad alcuni capi più caldi per quando sarò sulle montagne, per il troppo peso dello zaino. Spero di non avere freddo quando ci arriverò ma il peso era davvero eccessivo e la scelta è stata tra il non spaccarmi schiena e ginocchia rischiando di dovermi fermare e quindi alleggerendomi oppure avere qualche maglia in più ma rischiare di non vedere le montagne... Tanto più che stamattina mi sono svegliata con una piccola borsite sulla spalla sinistra che per fortuna le spalline anni ‘80, un super trucchetto del pellegrino veterano, hanno contenuto scongiurando il peggio.

 

Intorno alle 10 arrivo alla bellissima chiesa di Skedsmo costruita nel 1180 e dedicata a Sant’Olav che svetta altissima sulla campagna. Dopo 7 chilometri ne incontro un’altra, la chiesa di Frogner purtroppo anche questa chiusa ma dove trovo una cassetta con all’interno il timbro per il mio passaporto.

Nel perimetro del cimitero ci sono panchine praticamente ovunque. E’ incredibile come la morte venga considerata e vissuta così diversamente di religione in religione. Qui è evidente come la morte corra su una linea invisibile ma serenamente connessa con la vita a tal punto da rendere l’incontro con chi non c’è più fisicamente come un semplice re-incontro fatto di un tempo che si continua a condividere senza quella malinconia struggente, un tempo magari fatto per bere un tè o un caffè ancora insieme su una di quelle panchine di legno. 

 

Mentre riparto si alza un soffio di vento da dietro le spalle come un sussurro che mi spinge, lieve, nella foresta collinare di Vilbrgfjellet. 

Ed ecco che subito dopo aver visto quelle panchine… arriva la mia di panchina con una scatola di latta appoggiata su un lato. La apro: dentro c’è un libro dal titolo “L’âme du monde”. 

Mi siedo e invece di sorseggiare un tè o un caffè come fanno i norvegesi sulle panchine dei cimiteri inizio a sfogliare il libro e all’improvviso incomincio a sentire l’essenza di mia madre accanto a me, dal lato opposto a quello in cui sono seduta io. 

 

Per il resto del tempo, e quasi fino a destinazione, rimango in quella dimensione di connessione profonda. Dal canto suo, la foresta, mi fa incontrare invece lamponi, mirtilli e funghi. 

Quasi arrivata a Køfla mi sento urlare dal giardino di una grande casa di legno bianco. Un uomo, insieme ai due figli, insiste perché possano offrirmi dell’acqua fresca e delle carote che raccoglie sul momento dall’orto apposta per me. 

Compio gli ultimi metri sgranocchiandole rendendomi conto di masticarle con gusto mentre ho stampato in faccia il mio sorriso più grande. 

Sono grata sempre, anche oggi, alla vita.

 


3 Tappa Kløfta - Gardermoen

Dopo i 29 gradi di ieri stamattina, quando mi metto in cammino, ce ne sono 15 e si percepisce un bel freschetto.

Tutto attorno a me è raccolto, ovattato e silenzioso sotto un cielo velato di grigio che nasconde il sole fino alle 9 circa quando esce caldo e potente.

 

Già dai primi passi sento l’acido lattico nei polpacci: man mano che cammino, con lo scaldarsi dei muscoli, la mia falcata diventa gradualmente meno meccanica, un pò meno da soldatino e un pò più fluida. Qui il segreto sarebbe quello di non fermarsi mai fino a destinazione (cosa ovviamente impossibile) e quindi ogni volta che faccio una pausa più lunga di 15 minuti le gambe tornato di legno e doloranti.

 

La prima tappa di oggi è la chiesa moderna di Ullensaker. La vedo da lontano con il suo tetto verde petrolio con in cima una grande croce che si proietta con slancio verso il cielo.

I campi dorati si illuminano pian piano con il riverbero del sole e tutto prende forma e colore. 

Mentre mi avvicino alla chiesa uno stormo di uccelli si alza con un’ordine magistrale e una perfetta sincronicità passandomi veloce sulla testa. Sorrido nel vedere qualche istante dopo che tutti gli uccelli ora si trovano in posa, sul tetto della chiesa, mentre guardano nella mia direzione. 

E’ presto e la chiesa è ancora chiusa. 

 

Mentre mi sto allontanando intravvedo una donna sulla sessantina entrare nel vialetto con l’auto: le corro incontro (si fa per dire con lo zaino…) e le chiedo se può gentilmente aprirmela e se ha il timbro per il mio passaporto. Annuisce con un sorriso. Sarebbe stato un peccato non entrarci: l’energia è travolgente e i colori degli affreschi e delle forme geometriche lungo la navata e dietro all’altare sono meravigliosi.

 

Metto il timbro e riprendo il sentiero che passa proprio radente il fianco della chiesa rimanendo stupita vedendo una ragazza poco più che adolescente che con una cariolina sta bagnando, ad una ad una, con egual cura e amore tutti i fiori delle lapidi del cimitero.

Vedo e sento insito in questi luoghi un forte senso di comunità che peraltro credo dovrebbe andare ben oltre una questione di religione. Un senso enormemente dimenticato soprattutto nelle grandi metropoli come quella in cui vivo. 

 

Dopo aver costeggiato campi e ancora campi di grano mi addentro nella frescura di un sentiero stretto di betulle. Dopo qualche centinaio di metri i pini dritti e altissimi prendono il posto delle betulle e mi sembrano così infiniti da riuscire ad arrivare a toccare il cielo blu sopra di noi. 

Dalle ragnatele che continuo a togliermi dalla faccia e dalle braccia capisco che anche oggi non c’è nessuno sul cammino, almeno davanti a me. Ma non penso neppure dietro. 

Se il cammino di Santiago de Compostela conta circa 300.000 passaggi all’anno qui c’è ne sono poco più di 800, i conti son presto fatti. 

 

Inizio poi un tratto davvero incantevole di foresta dove incrocio due grandi pecore bianche.

Un piccolo break urbano quando attraverso con una diagonale il sobborgo di Jessheim per poi tornare nella natura. 

 

Oggi accade un altro evento stupefacente, che ormai ho capito essere uno dei tanti quando si cammina. Stamattina ho perso gli occhiali da sole non so esattamente dove e quando perché si sono sganciati dallo zaino e me ne accorgo solo quando mi fermo per consumare il pranzo. Cavolo non ci voleva! 

 

Attraverso un altro tratto di foresta e dopo circa 1 chilometro inizio a scendere per un sentiero ripido che mi porta al lago di Norbjtiernet. Pochi metri prima di arrivare sulle sue sponde trovo un paio di occhiali appesi alla corteccia di un albero. Non ci posso credere!!!!!! Ovviamente li prendo mentre cammino tra lo stupore, l’incredulità e la felicità! D’altronde qualcuno starà di certo usando i miei! 

 

Dopo aver circumnavigato il lago incontro una famiglia di cigni per poi proseguire verso la destinazione di oggi, Gardermoen.

Sostanzialmente ho impiegato 3 giorni per raggiungere l’area limitrofa all’aeroporto di Oslo che martedì sera, con il treno, ho percorso a ritroso in mezz’ora.

 

La giornata è costellata da altri due doni dell’universo: uno quando passo a fianco di un lago a forma di cuore, il Bonntjernet, e per finire in bellezza quando arrivo alla guesthouse dove mi fermerò per la notte trovando un divano pieno di farfalle ad aspettarmi e dove godermi la cena.

E anche oggi è magia.

 


4 Tappa: Gardermoen - Dal

Oggi è una tappa “cuscinetto” dove farò qualche chilometro in meno per prepararmi a due tappe di lunghezza impegnativa nei prossimi giorni. 

E le mie gambe, naturalmente, ringraziano! 

 

Anche oggi la giornata incomincia metereologicamente sottotono con un cielo bianco e grigio che mi catapulta nelle prime e malinconiche giornate di novembre. Resto fiduciosa, siamo ad agosto ed è ancora estate.

 

Oggi il sole tarda veramente a mostrarsi ma tutto sommato per me è l’opportunità di camminare senza troppo caldo. Quando però, verso le 11, spunta nel suo massimo splendore tutto cambia, compreso il mio umore.

 

I primi chilometri sono di nuovo sull’asfalto mentre mi impegno a camminare all’interno della stretta lingua di terra battuta e ghiaia che separa la strada di cemento alla mia sinistra e i prati alla mia destra per non sollecitare troppo le articolazioni. Il fatto è che è così stretta che mi sembra di camminare su una passerella e di essere una modella costretta a mettere un piede in linea con l’altro per rimanere dentro allo spazio. 

 

Finalmente imbocco una strada bianca, una di quelle strade di campagna che qui chiamano Grusvei, e cammino accanto ad una serie di prati perfetti e verdissimi che sembrano campi da golf: osservandoli meglio capisco che sono campi coltivati proprio per creare i fondi dei giardini inglesi. 

 

Superata la fattoria Elstad attraverso sterminate piantagioni di carote che si susseguono per chilometri sulle colline sembrando dei veri e propri vigneti. La vista mi fa ricordare un pò le mie terre, le Langhe. 

Qui il pellegrino può raccoglierle quindi ne approfitto e quando afferro un paio di ciuffi tiro fuori dalla terra un carota arancione e una rossa.

 

Mi trovo poi a scavalcare con una scala di legno dei fili della corrente che recintano un’area agricola di pecore e mucche con un lago nel mezzo.

Nonostante cerchi di fare lo slalom tra gli escrementi c’è ne sono talmente tanti che ad un certo punto non posso che abbandonarmi alla “morbida” camminata passandoci, per quanto possibile, elegantemente sopra: dopo oggi sicuramente sarò fortunata per i prossimi cent’anni! 

 

Arrivata alla guesthouse dove ho pernottato per la notte chiedo se conoscono un posto dove fare un massaggio alle gambe perché faccio davvero fatica e nei prossimi giorni avrò 2 lunghe traversate da fare. Mi dicono che c’è una terapeuta thailandese che si trova a 2 chilometri di distanza dal paesino dove mi trovo e che pare essere una guru locale. La manna dal cielo, chiamo. E’ rimasto l’ultimo appuntamento libero. Lo prendo!

 

Mi faccio prestare una bicicletta per guadagnare tempo e così colgo l’occasione per sperimentare anche l’emozione di pedalare lungo queste bellissime e infinite piste ciclabili norvegesi che corrono praticamente lungo ogni strada.

 

Il massaggio si rivela un tocca sana. 

Moon, così si chiama la guru-terapeuta, mi accoglie con un sorriso spaziale. È più mi sorride e più i suoi occhi a mandorla si fanno piccoli piccoli fino a scomparire.

Nello studio c’è ogni tipo di strumento e aggeggio immaginabile. Le dico che devo arrivare a piedi fino a Trondheim e che mi deve aiutare: dalla sua espressione capisco subito che mi prende a cuore e che per lei diventa una missione infallibile: in un’ora riesce a farmi 4 tipi di tecniche diverse spaziando dalla medicina cinese compresa l’agopuntura, allo stretching thailandese, al massaggio rivoltandomi letteralmente come un calzino mentre ogni 10 minuti parte con la litania: “I do my best, I do my best!”. Che carina!

In effetti mi sento meglio. Domani mattina sarà la prova del nove. 

 

Stasera mi berrei davvero una bella birretta ghiacciata ma ho fatto il fioretto di non bere alcolici e di non mangiare dolci fino a Trondheim e quindi mi accontento di una Coca Cola Zero. Come si dice dalle mie parti in Piemonte: pitòst che gnente a l’è mej pitóst. 

 

Qui si cena dalle 17 per cui per una pellegrina affamata è perfetto!!!

Mangio 2 piatti di zuppa al pomodoro con varie altre verdure e del formaggio locale di capra delizoso! Mi prendo ufficialmente una pausa da: salmone, trota, merluzzo; merluzzo, trota, salmone.

 

 


5 Tappa: Dal - Minnesund

Sveglia alle 6 e prova mobilità delle gambe: il massaggio di Moon sembra aver sortito effetto. Faccio colazione e parto. 

Stamattina il cielo mi sorprende con un blu cobalto e un sole con un’energia inebriante.

Oggi è domenica e anche quando passa accanto alle fattorie tutto tace: nessun trattore, nessun rumore, sento solo i miei passi uno dopo l’altro che solcano il terreno.

Dopo 5 chilometri incontro la Chiesa di Råholt purtroppo ancora chiusa. Riprendendo la strada un aereo sbuca da dietro le case e mi passa sopra la testa. Faccio quasi un salto, non me lo aspettavo. 

 

Costeggio poi il fiume di Andelva dove i giochi di specchio nell’acqua sono sorprendenti e mi diverto a fare qualche foto. 

Imbocco poi una strada che mi riporta nella campagna: i segnali del sentiero mi costringono ad attraversare un campo di grano, per più di 1 km, passandovi esattamente nel centro: i chicchi dorati mi arrivano fino alle spalle mentre cammino dentro al lungo solco. Uscita dal campo inizia un bosco quasi soffocante con rovi e ortiche altissime e nonostante cerchi di alzare le braccia per evitarle quando esco sono piena di graffi e irritazione: passo mezz’ora a cercare di non toccarmi facendo ogni tipo di esercizio di training autogeno e usando tutte le tecniche di mindfulness che conosco finché non sento da lontano le campane della chiesa di Eidsvoll. 

A quel punto ho come una sorta di reset corporeo e mentale. Mi calmo e la raggiungo. 

 

Quando entro il sagrestano incomincio a snocciolarmi tutta la storia della chiesa in saecula saeculorum. Mi racconta anche che in questi giorni non ci sono pellegrini confermando la mia tesi di essere sola sul cammino. Dopo 20 minuti di monologo e vari gentili tentativi da parte mia di interromperlo entra una bambina che lo distrae. Ne approfitto: Sir, the stamp? Altri 5 minuti per cercare di centrare il timbro nel quadrato libero nel passaporto (voleva fare un bel lavoro mi diceva…) lo ringrazio e scappo!

 

Un lungo ponte che collega le due sponde del fiume Vorma mi porta all’ingresso del paese. È tutto completamente chiuso, neanche un bar, un choischetto: niente, nada, ingenting (in norvegese). 

Sembra di essere nel Far West o in una città fantasma. Procedo abbandonando quasi subito l’asfalto addentrandomi nel sentiero finché incontro una serie di Fjordhest, cavalli tipici dell Norvegia con una criniera particolarissima!

 

Finalmente arrivo al punto di incontro deciso con Tore, il mio oste di stasera, perchè il suo B&B dista 2 chilometri dal sentiero. Quando arriviamo capisco perché aveva insistito tanto a venirmi a prendere: siamo praticamente saliti a 800 metri di altitudine 3 minuti di auto!

Dopo avermi mostrato tutte le sue piantagioni e raccolti i mirtilli, prepariamo insieme la cena: un’ottima zuppa di lenticchie con le verdure rigorosamente del suo orto. 

 

Dal suo terrazzo mi godo una vista mozzafiato sulle foreste attorno. 

Le montagne, intanto, si avvicinano. 

 


6 Tappa: Minnesund - Tangen

La giornata inizia col botto con una pioggia a catinelle da zero a secchiate dopo appena un chilometro dalla partenza. E non era prevista. 

 

Mi fermo al volo per mettere la giacca antipioggia e coprire velocemente lo zaino anche se tutto ciò che è all’interno è chiuso ermeticamente in sacchetti di plastica per cui sono tranquilla. 

 

Oggi costeggio il lago Floyta e finalmente mi immergo per tutta la giornata nella natura selvaggia norvegese. 

Per fortuna dopo un’ora di pioggia battente si alza il vento che in pochi minuti spazza le nuvole lontane per lasciare spazio all’azzurro. 

La pioggia intanto ha fatto esalare la foresta di tutti i suoi profumi: sento odore di bacche, di licheni, delle cortecce degli alberi, dei muschi, dei funghi, di humus. 

 

Oggi mi aspettano 34 lunghissimi e faticosi chilometri tra la pioggia, i dislivelli e il peso dello zaino. Dovendo attraversare una zona completamente boschiva non troverò posti per riempire le borracce e quindi sono costretta a caricarmi 2 litri di acqua. Mi sembra di avere sulla schiena il piombo per andare a fare le immersioni. 

In realtà a circa 25 chilometri del percorso ci sarebbe stata l’opportunità di fermarmi in un bivacco ma senza acqua corrente, né elettricità, né riscaldamento. Un pò troppo wilde anche per me… a maggior ragione che sarei stata completamente sola. Ecco il motivo della tirata fino a Tangen, la meta di oggi.

 

Dopo il lago di Floyta entro ufficialmente nella foresta dei troll. A ricordarmelo ci sono vari cartelli durante il percorso che invitano all’ascolto. E in effetti, non so se per suggestione o realtà, spesso sento strani rumori provenire dai bordi del sentiero che non riconosco essere movimenti di animali. Chissà…

 

La strada ad un certo punto si restringe e si raccoglie in un sentiero che passa in una foresta incantata dove le pietre sono ricoperte di muschio verdissimo e gli alberi si intrecciano in abbracci. Sono nella foresta di Stange, uno dei pochi boschi primordiali d’Europa, una vera e propria regione selvaggia dove le tracce della presenza umana sono ridotte al minimo.

Sicuramente la più magica ed emozionate foresta attraversata fino ad oggi. Mi solleticano invece un pò di inquietudine i fiumi che attraverso, con pietre praticamente nere o scurissime che rendono l’acqua plumbea. 

 

Finito l’idillio incappo in alcuni chilometri di fango che sono impossibili da evitare. I piedi affondano e ad un certo punto ho fango fin quasi alle ginocchia. Sfiancante!

 

Stasera alloggio in una casetta con un letto a castello nel Tangenodden Camping nel minuscolo comune di Tangen che si specchia nell’immenso e potente lago Mjosa, il più grande della Norvegia. 

 

Arrivo stremata al Camping. Chiedo a che ora posso cenare e il proprietario con cui mi ero anche scritta mi dice che siamo in bassa stagione ed il loro ristorante è chiuso. 

Evito di sbranarlo ma gli chiedo dove pensa che possa andare a mangiare nel mezzo del nulla dopo 34 chilometri. Mi dice che a 1 km e mezzo c’è un supermercato. Perfetto. 

Ho contato anche gli ultimi centimetri per arrivare e ora mi tocca fare altri 3 chilometri per comprarmi cena e colazione si perché ovviamente se il ristornate è chiuso per cena lo è anche per colazione. Non fa una piega certo. 

 

Arranco fino al supermercato come un cane bastonato, torno e ceno. 

Come se non bastasse ho dovuto discutere anche perché non c’erano le lenzuola e per questo stasera farò questa fantastica esperienza che mi mancava di dormire con le lenzuola di carta usa e getta che, attenzione attenzione, dopo tutte le lamentele il proprietario si sente in dovere di regalarmi. Quale grazia!

 

Intanto fuori sta diluviando con tuoni e lampi che illuminano la mia casetta a giorno. 

 

Mi ritiro a far riposare le mie stanche membra sulla mia nuova carta da parati.

 

 


7 Tappa: Tangen - Ottestad

 

Dopo una ruvida e rovente notte con le mie lenzuola di carta-pesta inizio un nuovo giorno sognando ad occhi aperti le morbide e avvolgenti lenzuola di cotone dove sprofonderò stasera. 

 

Stamattina, nell’aria, c’è proprio quella sensazione della quiete dopo la tempesta. Il lago Mjosa è una tavola piatta e anche il cielo si è rasserenato.

Il tasso di umidità dopo la pioggia di stanotte, però, è soffocante e inizio a sudare ancor prima di farlo naturalmente. L’erba del sentiero mi lascia ad ogni passo gocce ghiacciate di rugiada che a tratti mi fan venire la pelle d’oca. Stamattina ci sono poco più di 10 gradi.

Dopo 11 chilometri trascorsi nella foresta sbuco su un grusvej.

 

I rami degli alberi sono ancora pieni di pioggia e il loro ticchettio mi accompagna in questa mattina fredda e silenziosa mentre il muschio mi regala una camminata soffice, morbida e confortevole. 

 

Oggi non vedo mai il sole. Anzi: dalle 9 in poi e fino a poco prima del mio arrivo alla Fattoria Fjetre, destinazione di oggi, il cielo ruggisce rabbiosamente come un leone in gabbia per tutto il tempo e sembra inseguirmi. Ad un certo punto mi sento completamente circondata da un anello scuro: il nero delle nubi cariche di acqua fa presagire un destino implacabile e inevitabile: soccombere alla tempesta imminente. E invece no! 

Il mio passo incalza deciso verso Nord sfidando ogni minaccia e ogni intimidazione dei tuoni che avanzano sempre più vicini. Chiedo ai troll di sospingermi veloce nella radura e di diventare scudo perchè nessuna saetta possa attraversarmi e nessuna goccia bagnarmi. Entro con l’immaginazione nel mondo delle favole, quello in cui tutto è possibile, quello in cui i super poteri esistono e se ci mancano ci sono esseri che ci possono venire in aiuto. Con questo pensiero magico procedo con passo deciso e sicuro fino alle porte di Stange. 

 

Intorno alle sue foreste sorgono enormi fattorie, alcune sono qui da centinaia di anni e risalgono all'epoca vichinga.

Con una graduale salita arrivo su quella che qui chiamano Feginsbrekka, la collina della gioia. Qui il panorama si fa grande e spazia sulla pianura sino a perdita d’occhio. Posso vedere da dove mi trovo la chiesa di Stange a circa 5 chilometri di distanza.

Penso a quando le cose ci sembrano irraggiungibili, lontanissime, inafferrabili, come questa chiesa. Eppure mettendosi in cammino si può arrivare ben più lontano di ciò che è visibile agli occhi…

 

Scendendo dalla collina attraverso la zona della coltivazione di patate uno dei prodotti immancabili sulle tavole norvegesi. Campi e ancora campi di patate intervallati da alcune piantagioni di cipolla bianca. Il cielo intanto smette di ruggire e lascia intravvedere spiragli di azzurro. 

 

Un lungo viale alberato di frassini mi accompagna nell’ultimo tratto senza perdere mai di vista, sulla mi sinistra, il lago Mjosa che non finisce mai. Lo sto costeggiando da due giorni ormai. 

Arrivo alla fattoria Fjetre Gard, una fattoria storica di Ottestad che dà ospitalità ai pellegrini. 

Astrid, la padrona di casa, mi aspetta sorridente sul vialetto sbracciandosi come si fa con chi non si vede da tempo: una figlia, un caro amico, una madre, un padre. Qualcuno a cui si vuole bene. Qualcuno che si ama. 

E’ stata una sensazione di profonda commozione vedere che ci fosse qualcuno ad aspettare il mio arrivo con così tanta gioia e autenticità senza poi conoscermi neppure. Ma Astrid c’era ed era lì per me. 

Questa accoglienza piena di calore è valsa tutto il viaggio di oggi.

 


8 Tappa: Ottestad - Brumunddal

 

Alle 6 suona la sveglia. Astrid mi ha lasciato la colazione nel frigo con ogni ben di dio di verdura, uova, formaggio e marmellata: tutto proveniente dalla sua fattoria.

 

Sul tavolo della cucina trovo un cioccolatino con accanto un suo biglietto che dice: “Save this sweet for your arrival in Nìdaros. Nice meeting you Elisa”. 

Il cuore mi si spande e mi commuovo. 

Non poteva che non essere così: un saluto speciale al mio arrivo ieri e uno altrettanto emozionante stamattina. 

 

Ieri parlando le avevo raccontato dei miei due fioretti fino all’arrivo a Nidaros: nessun alcolico e nessun dolce. Astrid è stata il dolce per la mia anima. Sono stata molto fortunata anche io ad averla conosciuta. Una donna davvero unica con un’anima rara e luminosa.

 

Anche oggi quando incomincio a camminare il sole rimane nascosto dietro una coltre di nubi. Riesco a catturarlo per qualche istante solo quando sorge da dietro alla foresta e niente più fino a pomeriggio inoltrato quando il cielo sembra indeciso ed e per metà sereno e per metà minaccioso. 

 

Lasciandomi alle spalle la fattoria di Astrid mi sento addosso una forza che mi avvolge e mi protegge. E’ un ottimo inizio di giornata. 

 

Dopo circa 6 chilometri entro ad Hamar nella contea di Innlandet. Oggi attraverserò due città: Hamar e Brummundal la destinazione odierna. Non sprizzo gioia da tutti i pori per questo ma per poter proseguire nel mio cammino non posso che doverle attraversare e superare. 

 

Sul ponte che porta ad Hamar le biciclette sfrecciano veloci verso la città. Qui tutti si muovono in bicicletta: per andare al lavoro, a scuola, a fare la spesa, a portare i figli con il carrello attaccato… insomma un vero mondo a due ruote!

 

L’attraversamento di Hamar è reso meno noioso dal fatto che il percorso mi porta a camminare sulla spiaggia del lago Mjosa facendomi vivere la sensazione di passeggiare sulla battigia del mare in una giornata d’autunno inoltrato. 

Dopo Hamar, finalmente, mi addentro nella foresta di Furuberget fatto salvo che la radura è infestata delle bestie più fastidiose di Satana: le zanzare. Probabilmente l’umidità mista alla vicinanza con il lago diventano il maggiore concentrato di moscerini e zanzare. Ad un certo punto mi sento sotto assedio e mi devo fermare per prendere dallo zaino lo spray anti zanzare onde evitare di impazzire. 

 

Non so se sia una coincidenza (alle quali peraltro non credo) o i troll ma sta di fatto che ogni volta che incrocio un ceppo che ai bivi mi indicano quale direzione prendere cade sempre “casualmente” una pigna dalla cima di un pino. Dolcetto o scherzetto? Si sa che i troll sono amanti degli scherzi e quindi sto al gioco! In fondo sono miei amici e con gli amici si gioca!

 

Pigna dopo pigna arrivo alla chiesa di Furnes dove un pallido sole fa capolino. Metto il timbro e proseguo verso Brummundal dove lo studio Voll Arkitekter ha dato vita al Mjøstårnet, una torre di 85,4 metri suddivisi in 18 piani totalmente in legno. E’ il grattacielo di legno più alto del mondo. 

 

Dopo la romantica e bucolica fattoria di Astrid passo così alla modernità, seppure rispettosa ingegneristicamente dell’ambiente, del Wood Hotel che di buono ha che costa praticamente poco più delle sistemazioni avute fino ad oggi. Direi quindi eco ed eco-nomicamente sostenibile!

Dall’ottavo piano ho una bellissima vista sulle montagne circostanti. 

 

Anche oggi la pioggia mi ha graziato. 

Dopo 2 ore dal mio arrivo, infatti, arriva il diluvio. 

 

Che i troll siano con me!

 

 


9 Tappa: Brumunddal - Moelv

 

Uscendo da Brumunddal incomincia a scendere una pioggerella fine fine che in breve tempo diventa vera e propria pioggia. Sono ancora nella periferia del paese e ne approfitto per ripararmi sotto alla tettoia di una casa. 

 

Nonostante l’attesa la pioggia non da segni di voler smettere per cui prendo armi e coraggio metto sia la giacca che i pantaloni anti pioggia e mi rimetto in cammino. 

Con questo tipo di indumenti in Gore-Tex il prezzo che si paga per non bagnarsi dalla pioggia si espia facendo una sauna degna di una spa di lusso. Diciamo che alla fine si è diversamente bagnati… 

 

È evidente che come per il Signore la domenica sia la giornata sacra e del riposo così per i Trolli sia il giovedì e quindi mi rassegno a dover trascorrere tutto il giorno sotto una pioggia incessante. 

 

Arrivata alla chiesa di Veldre trovo una porta con sopra il simbolo del cammino, entro e trovo il timbro. All’interno c’è un bel caldino e ne aprofitto per asciugarmi un pò.

 

All’uscita prendo “prostvegen” (la strada del prete) che deve il suo nome al fatto che le parrocchie di Veldre e Ringsaker, agli estremi della via, avevano un unico parroco che percorreva questa strada a cavallo quasi tutti i giorni per celebrare la messa in entrambe le chiese, una pratica che durò fino al 1876.

 

Sul sentiero incontro poi il Tokstadfurua, il più vecchio pino della regione di Hedmark, datato 1516. Qui c’è anche un bellissimo capanno di legno dove è possibile ripararsi dalla pioggia o semplicemente riposarsi.

Sbucando su una strada di asfalto vedo un cartello che indica Trondheim: lo fisso e penso a quanto ancora mi sembri lontanissima…

 

La pioggia della Norvegia è ufficialmente diversa da tutte le altre piogge. Nonostante la sua finezza ha la potenza di un acquazzone: anche quando sembra che non piova, bagna lo stesso.

 

Una giornata davvero faticosa per questa pioggia che non mi molla neppure per un attimo. Faccio fatica anche a scattare le foto, un pò per tedio, un pò per metereopatia e un pó perché in effetti la pioggia mi toglie molta poesia.

 

Ad un certo punto ho un momento di sconforto: sono stanca, voglio solo arrivare, lavarmi, asciugarmi e stare al caldo. 

 

La chiesa di Rinsaker mi dona un breve ristoro dell’anima. Un sacerdote donna mi viene incontro appena apro il grande portone scricchiolante. Mi accoglie con pacatezza ma presenza e onora il mio arrivo accendendo la candela più grande in mezzo alla navata: “accendiamola per mia mamma”, le dico. 

Lei mi sorride e mi lascia vivere quel momento con rispetto. La ringrazio, la saluto e riparto. 

 

Gli ultimi chilometri sono l’apoteosi della giornata: mi scoppia una vescica che era sbucata ieri sera… mi stupisco ogni volta di quanto possano essere dolorose! Zoppicando arrivo finalmente a Ringli. 

 

Sølvi, la proprietaria, mi accoglie sorridente. Faccio per darle la mano per salutarla e presentarmi, lei mi afferra con forza e mi abbraccia. Di certo avevo bisogno di quel gesto per altro totalmente inaspettato. 

Poi mi mostra la mia casa di stasera, una dimora del 1700 con il tetto di torba.

Un modo magico per entrare sempre più nelle tradizioni norvegesi. 

 

Faccio una lunga doccia bollente, medico la vescica e ceno. Con quasi 8 ore di cammino sotto la pioggia oggi sono davvero stanca.

 

Temo dovrò abituarmi, troll o non troll, a questo tempo norvegese.

 

 


10 Tappa: Moelv - Brøttum

 

Stamattina quando li tocco, gli scarponcini sono ancora bagnati fradici. Aumento al massimo la temperatura del termosifone del bagno e li avvicino il più possibile sperando che si asciughino mentre faccio colazione. 

Il risveglio è dentro una bruma fittissima con un’umidità che pare essere quella della foresta amazzonica.

 

I primi 3 km sono tutti in una salita impegnativa sulla strada asfaltata con solo il fragore del torrente a farmi compagnia. 

Salgo di circa 400 metri sopra il lago Mjosa. Quassù tutto è rigoglioso e verdissimo: i prati, gli alberi, le piante. 

 

La mia vescica al piede mi “parla” ad ogni passo ma cerco comunque di appoggiare lo scarpone  sul terreno nel modo più naturale possibile per non creare scompensi di altro tipo e quindi possibili fastidì conseguenti. Non è facile, lo giuro, fa davvero male ma rimango concentrata sul cammino, non posso fare altrimenti, ho ancora tanta strada davanti a me. 

 

Ieri tra il freddo e la pioggia ho bevuto pochissima acqua e stanotte le gambe mi fanno male e mi iniziano a venire dei crampi. 

Tanto più che l’acqua della Norvegia e l’acqua più buona che abbia mai bevuto nella mia vita, devo assolutamente sforzarmi. 

 

Poco prima delle nove la bruma si dissolve e come per magia spuntano giganti francobolli di azzurro intenso sopra alla mia testa. Riesco a vedere fin dall’altra sponda del lago Mjosa e in alcuni tratti le colline mi ricordano vagamente la Toscana. 

Sono nella zona del pascolo delle mucche che sembrano pietrificarsi al mio passaggio. 

Mi diverto a fotografarle con questi occhi che mi guardano così in profondità da sembrare quasi occhi umani. 

 

Dopo la giornata di ieri, quando finalmente esce il sole, sento un profondo senso di gratitudine che mi permea il corpo e l’anima.

Mi godo ogni singolo raggio che mi scalda e che mi accompagna, seppure a tratti, nella giornata per poi godermelo invece per qualche ora consecutiva nel giardino della Nedre Berg Gard dove alloggio stasera. 

 

Ole, il proprietario, mi viene a prendere in auto vicino al sentiero perché la sua fattoria dista qualche chilometro.

Sembra mio zio: alto, imponente ed è un bonaccione, lo capisco subito.

 

Incominciamo a parlare di tutto, come se ci conoscessimo da sempre. Un’altra accoglienza piena di emozioni, di attenzioni, di sintonia e di sorrisi. 

La casa è piena di troll ovunque! Speriamo siano di buon auspicio per il meteo dei prossimi giorni!

 

Ole per cena mi apparecchia la tavola come se fosse arrivata l’ospite più importante di sempre e mi prepara un ottimo salmone al forno con patate, carote e altre verdure. 

 

Scopro anche, chiacchierando, che non ospita più Pellegrini da tempo ma accetta solo affitti di lungo periodo ma la mia email mesi fa lo aveva colpito e aveva deciso di ospitarmi lo stesso. 

 

Ad un certo punto, a fine cena. mi racconta di un’esperienza difficile della sua vita e scoppia a piangere dicendomi che non aveva mai raccontato questa cosa a nessuno e che non piangeva da anni. Istintivamente mi alzo e lo abbraccio.

E’ stato un momento incredibile. Una di quelle cose che a ripensarci non ti raccapaciti che possa essere successa. Eppure il cammino è anche questo, incontrare anime con cui si risuona e attraverso le quali si aprono finestre di vita estemporanee e al contempo reali, profonde e che ti fanno vibrare. 

 

Con Ole ci siamo ripromessi di vederci in Italia davanti ad un buon bicchiere di Barolo.

 

 


11 Tappa: Brøttum - Lillehammer

 

Una super colazione preparata dallo chef Ole a base di omelette, pane nero e formaggio di capra. Ci scattiamo una fotografia prima di salutarci e ci scambiamo un lungo abbraccio pieno di emozione che è un arrivederci. 

 

Dalla sua fattoria inizio a scendere rapidamente verso il lago Mjosa che abbandono dopo ben 7 tappe a Lillehammer, la cittadina che funge da porta d’ingresso della valle Gudbrandsdalen, famosa anche per essere stata la sede delle Olimpiadi invernali nel 1994.

 

Sulla strada sterrata, il grusvej, passo accanto alla sorgente Olavsbron, una fonte d'acqua

alla quale i pellegrini medievali attribuivano poteri taumaturgici.

La leggenda vuole che la fonte divenne miracolosa quando Olav si fermò a far bere il suo cavallo; da allora l'acqua non si prosciugò nemmeno durante i periodi di siccità.

 

Il resto del tempo, oggi, camminerò sempre sull’asfalto: solo la vista del lago Mjosa, sulla mia sinistra, riesce a spezzare la monotonia di questa tappa. 

Arrivando nella piccola periferia di Lillehammer visito prima la Cattedrale in stile neo-gotico e poi scorgo da lontano l’imponente Lysgårdsbakken, il trampolino costruito nel 1993 per le Olimpiadi all’interno di uno stadio capace di ospitare fino a 50.000 persone.

 

Lillehammer sarà l’ultimo paese per circa 400 chilometri, e fino a Trondheim, con un minimo di servizi. Ne approfitto per comprare alcune cose in farmacia, fare scorta di barrette energetiche e acquistare i pantaloni antipoggia che si sono tagliati e che quindi sono diventati inutilizzabili. 

 

Ole ieri sera mi ha spiegato che la valle del Gudbrandsdalen, considerata dai norvegesi la regina delle valli, è attraversata nella sua lunghezza dal fiume Lågen per circa 200 chilometri fino a Dovre. Il Lågen mi scorterà come una fedele sentinella per 8 giorni fino ai piedi dell’altopiano del Parco Nazionale di Dovrefjell quando salirò in quota. 

 

Oggi si rivela una tappa di preparazione logistica ma anche psicologica per affrontare 19 giorni nella tundra in una delle aree meno densamente popolate della Norvegia.

 

Forza e coraggio.

 

 


12 Tappa: Lillehammer - Øyer

 

Stamattina desisto per qualche minuto a infilare il piede sinistro nello scarpone sapendo il dolore che mi provocherà la vescica. Poi faccio un bel respiro e affondo il tallone verso la suola. I primi passi sono zoppicanti poi pian piano il fastidio diventa sopportabile. Maledette vesciche!

 

Un’altra domenica di silenzio uscendo dal centro abitato di Lillehammer. La sacra domenica dei norvegesi. Niente e dico niente è aperto. 

Camminando nella stretta via che mi conduce fuori dal paese sento il profumo del caffè nero bollente che esce dalle finestre socchiuse delle bellissime case in legno. 

 

Zampettano allegramente le gazze ladre da una parte all’altra della strada e mi sembra quasi che non vogliano lasciarmi sola in questa domenica solinga che fa invidia al Deserto dei tartari di Dino Buzzati. 

 

Arrivo poi a Storhove dove sorge l’università di Lillehammer davvero affascinante.

Lascio definitivamente gli agglomerati urbani e mi tuffo nel verde della foresta. 

Per la prima volta oggi incontro degli scoiattoli che a differenza di quelli ormai addomesticati di Central Park corrono così veloci sulle cime degli alberi che è impossibile fotografarli. 

 

Ed ecco che sulla mia sinistra, all’improvviso, si presenta in tutta la sua magnificenza la mia fedele sentinella: il fiume Lägen.

 

La valle Gudbrandsdalsleden si apre maestosa all’orizzonte: il gioco delle tonalità di verdi e il costante alternarsi delle zone boschive ai prati rendono il paesaggio simile ad una scacchiera dalle mille sfumature. 

 

Con un tonfo seguito da un belare collettivo di volume fortissimo inizia a scendere dalla collina, a tutta birra, un piccolo gregge di pecore bianche e nere che corrono come schegge impazzite nella mia direzione. Forse hanno scambiato le mie stecche per il bastone del loro pastore? Forse hanno solo fame. Fatto sta che rimangono diversi minuti lungo la staccionata che le delimita facendosi toccare e accarezzare. Sono morbidissime e dolcissime. 

Arrivo poi alla fattoria Moe Gärd, il paradiso dei lamponi. Mi bevo un succo fantastico con la vista più bella che potessi avere oggi sulla valle.

C’è una simpatica roulotte dove ordinare, qualche tavolino nel prato dove potersi sedere e donne di tutte le età che raccolgono ceste e ceste di lamponi. 

Ci sono filari a perdita d’occhio. La fattoria è una delle più famose della zona per la produzione di succhi e marmellate di lampone. 

 

Nell’ultimo tratto prima di arrivare nella Guesthouse di stasera incontro un bivacco per i Pellegrini dove è possibile riposarsi o ripararsi in caso di pioggia e a tale proposito vale la pena sottolinearlo, anche oggi ho scampato il temporale: infatti, dopo 1 ora dal mio arrivo, arriva una forte pioggia e anche la temperatura si abbassa in pochi minuti di una decina di gradi.

 

Dopo cena faccio un’ultima passeggiata attorno alla Guesthouse felice per aver scampato la pioggia anche oggi!

 

 


13 Tappa: Øyer - Tretten

 

Oggi mi aspettano un cielo terso e un fantastico sole che mi accompagnano in questa tappa impegnativa ma meravigliosa. Un continuo saliscendi con più di 1000 metri di dislivello che mette a dura prova le gambe con i 10 chilogrammi di zaino sulla schiena ma che mi restituisce una bellezza infinita negli occhi e tante emozioni nell’anima. 

 

Anche oggi la vescica al piede sinistro è piuttosto insolente ma grazie a tutti i medicamenti sta guarendo e conto di abbandonarla definitivamente e con gioia nel giro di 2 o 3 giorni. 

 

La condensa della pioggia di stanotte ha creato una coltre di nebbia compatta che finisce per alzarsi piano piano con il sorgere del sole lasciando libero l’orizzonte e permettendomi di poter ammirare nuovamente la valle Gudbrandsdalsleden.

 

Oggi i sentieri erbosi corrono in mezzo alle foreste e costeggiano i fianchi delle montagne in un continuum di meraviglie. Il fragore dei quattro torrenti che attraverso è prorompente e mi trasmette quella sensazione di potenza e invincibilità che la natura cerca di insegnarci, noi malgrado. 

 

Arrivo poi a dei cumuli tombali risalenti all’età del ferro. In questa zona il terreno è molto acquitrinoso e mi trovo spesso a sprofondare nella terra inzuppata di acqua: l’erba che la ricopre mi rende impossibile intuire dove sia maggiormente intrisa.

Come un rabdomante uso le stecche per tastare e farmi strada per evitare di finire dentro a delle vere e proprie voragini ma un paio di volte mi trovo con l’acqua che arriva a filo con la fine del collo degli scarponi per fortuna senza che riesca ad entrarvici.

 

Dopo 12 chilometri esco dall’ultimo tratto di foresta con una vista mozzafiato su tutta la vallata con il Lägen che con le sue acque verde-azzurro crea un contrasto incredibile. Rimango immobile e pietrificata davanti a così tanta perfezione. 

 

Anche il tempo oggi è stato dalla mia parte e nelle ultime ore del giorno riesco anche a godermi il sole nel giardino di Glomstad Gärd, la fattoria dove sono ospite di Lisbeth e Bjørn.

 

Anche stasera sono l’unica pellegrina e il ristorante è tutto per me. Bjørn mi accende anche la musica forse pensando che abbia bisogno di compagnia… e mi fa tenerezza con questa sua timida attenzione. 

Poi incominciamo a parlare e finisce come tutte le volte che scoprono che sono Piemontese e vogliono che gli dia tutte le dritte per andare nelle Langhe a bere e mangiare bene! 

 

Con oggi supero ampiamente i 300 chilometri percorsi fino ad ora. In un paio di giorni sarò a metà strada.

 

Guardandomi indietro, oggi, sento che la mente sta cedendo con i suoi continui ronzii e pensieri,

con le sue costanti valutazioni, bilanci e consigli lasciando spazio sempre più al sentire, all’introspezione, all’essenziale. 

 

Il cammino si sta facendo strada dentro di me.

 


14 Tappa: Tretten - Ringebu

 

Mi lascio alle spalle la fattoria Glomstad e una ripida discesa contribuisce a risvegliare tutti i muscoli del mio corpo. La brina notturna rende il pendio viscido e scivoloso. Oggi, dopo averlo visto da 600 metri di altitudine, vado a vedere da vicino il fiume Lägen.

 

Mentre scendo gli uccelli che sono nascosti nei cespugli al mio passaggio prendono il volo all’improvviso facendomi spaventare e passandomi a pochi centimetri dal corpo. 

 

Oggi in diverse occasioni mi trovo ad attraversare sentieri pieni di rovi e di ortiche e dato che mi arrivano all’altezza delle spalle mi è quasi impossibile non entrarne in contatto. 

Penso a tutte le volte che nella vita mi sono chiesta: ma perché proprio adesso, perché proprio a me? E perché “ancora”? Eppure per andare oltre, per andare avanti, questi rovi e queste ortiche vanno superate. Quindi procedo aumentando il passo per uscirne almeno nel minor tempo possibile. 

 

Dopo aver attraversato il torrente Rolla trovo una delle tante cassettine disseminate qua e là lungo il percorso con dentro il libro dove annotare il proprio passaggio e qui avviene una cosa magica: l’ultimo mio pensiero della giornata di ieri era stato che il cammino stesse incominciando a farsi strada dentro di me. Aprendo il libro leggo subito la frase di un pellegrino, peraltro italiano, che mi ha preceduto di una settimana sul cammino e che aveva sostanzialmente scritto esattamente il mio stato d’animo di ieri… Sento come un filo sottile invisibile, una sorta di ombelico d’argento che mi proietta al di là di ciò che è razionale e conosciuto. Dopo due settimane di cammino la connessione e l’ascolto si stanno amplificando, lo sento sempre più nitido. 

 

Oggi la foresta è ricca di diversi esemplari di funghi per lo più non edibili ma mi piace osservarli, molti non li avevo mai visti. 

Scendendo all’altezza del fiume Lägen decido di uscire dal percorso di un chilometro perché voglio andare a sentire la sua temperatura, a vedere la sua luce, a sentire l’energia che emana. 

È davvero magnifico, con il sole e le nuvole che si rispecchiano sulla sua superficie. 

Trascorro quasi mezz’ora semplicemente a guardarlo seduta sui sassi della riva. 

 

È incredibile come cambino i colori e la prospettiva in base a dove ci si trovi. 

Un pò come nella vita in fondo, quando basta cambiare “sedia” e molte cose cambiano il loro peso, la loro importanza. E cambiamo anche noi. 

 

Dopo aver costeggiato per qualche chilometro una serie di fattorie alcune antiche, altre più moderne mi ritrovo a guardare la valle di nuovo dall’alto e mi fermo su una panchina di legno a mangiare il mio panino ammirando le montagne dello Jotunheimen. Lo spettacolo è immenso. Sono così grata per tutto questo, per trovarmi qui in questo momento, per esserci. 

 

Per la prima volta sento le aquile volare in alto nel cielo per poi scomparire all’orizzonte.

 

Oggi la tappa è lunga e faticosa. Inizio a fare pause ripetute perché faccio fatica, sono stanca. Uscita dalla foresta iniziano gli ultimi cinque chilometri in discesa che mi portano a Ringebu, la destinazione di oggi. 

Prima di raggiungere il piccolo paese trovo l’omonima chiesa, l’unica in doghe di legno sulla strada per Nidaros, davvero un gioiello. 

 

Stasera ho affittato una camera in un Airbnb quindi serata di totale solitudine se non due parole alla tavola calda, che trovo aperta nella strada principale e l’unica del paese, con la cameriera giusto per ordinare e pagare.

 

A tutto c’è un tempo anche fatto di silenzio.

 

 


15 Tappa: Ringebu - Sør-Fron

 

Notte difficile non ho dormito molto e per non farmi mancare nulla al risveglio mi trovo una nuova compagna di avventura: una simpatica vescica al piede destro. 

 

All’uscita di Ringebu tutte le siepi che delimitano i giardini delle case sono di albero di pino. Con il freddino che c’è, appena 9 gradi, con un paio di addobbi potrebbe essere tranquillamente Natale!

 

Attraversando un grusvej vedo una bellissima volpe anche piuttosto grande che corre quatta quatta da una parte all’altra della strada. Che meraviglia! Avrei voluto avere il rewind e rivederla passare mille altre volte. 

 

Oggi, dopo pecore e ancora pecore e mucche e ancora mucche, a salutarmi dal cielo è uno stormo di cornacchie che mi sovrasta facendo un chiasso infernale.

 

Oltrepasso il fiume Frya che scorre impetuoso fino a tuffarsi nella gola di Bersvein per poi inoltrarmi dentro un sentiero che si arrampica sulla montagna.

In questo tratto di valle la natura è aspra e inospitale.

 

Arrivo poi alla fattoria Dale-Gudbrand il capo vichingo che ha dato il nome alla valle che sto attraversando e che fu convertito al cristianesimo dal re Olav. 

Qui c’è anche un Pilgrim center purtroppo però chiuso. Ne approfitto per un break sulla panchina all’ingresso e riparto.

 

Mi inerpico nuovamente verso la montagna e arrivo alla chiesa di Sør-Fron un edificio in pianta ortogonale del 1792.

Dopo un sentiero che si arrampica ancora una volta sulla montagna entro nella zona dove sorgono fattorie che hanno radici nell'era vichinga o anche prima.

 

Tra queste c’e la fattoria Sygard Grytting che mi ospiterà stasera e che è stata visitata dal Re norvegese Häkon V Magnusson già nel 1311. 

Recentemente restaurata negli interni, ha ospitato i Pellegrini già dalla fine del XIV secolo. 

Si respira un’aria antica e diventa facile immaginarsi cavalieri, pellegrini e contadini abitare questo luogo.

 

Una storia pazzesca se penso che questa famiglia che incontro oggi è la sedicesima generazione che porta avanti la fattoria e l’ospitalità ai pellegrini. Mi vengono i brividi pensando che stasera cenerò nella loro casa patronale dove chissà quanti altri nei secoli sono stati accolti con un pasto caldo. 

 

Ad aspettarmi al mio arrivo Vennlig un donnone che mi ricorda più Heidi, in carne, che una vichinga.

Mi accompagna nella mia casetta e mi fa subito lavorare: “ecco le lenzuola fatti il letto”. “Si signora!” Le rispondo. 

Quando ho finito mi chiede ghignando: “hai bisogno che ti aiuti a metter il piumino nel sacco?”. “No signora! Ho fatto il letto all’italiana signora! Lenzuolo da solo e piumino appoggiato sopra, Signora!”.

 

Con il sorriso sotto i baffi biondi e altalenandosi nella camminata con i suoi gambotti belli pieni esce dalla casetta dicendomi “cena alle 7, puntuale!”. 

Insomma da Heidi diventa nel giro di 10 minuti la Signorina Rottenmeier versione nordica.

 

Vennlig mi aveva scritto tempo fa che ci sarebbero state altre sei ragazze che camminavano lungo il sentiero e tra me e me oggi pensavo: finalmente vedrò qualche pellegrina! Quando le incontro sono sei donne di circa 65-70 anni sedute al tavolo del giardino con sei bicchieri pieni di vino rosso e una bottiglia nel mezzo. Ridono a crepapelle, secondo me anche un pò brille. E penso ancora: cavolo che forza e sono arrivate pure prima di me! Quando incominciamo a parlare scopro che hanno fatto in totale 6 chilometri giusto per arrivare qui e domani ritornare a casa.

 

Alle 7 in punto esco dalla mia casetta per dirigermi verso la casa padronale e sento una campana suonare. C’è fuori dalla porta il marito di Wennlig che la sta suonando per avvertire che la cena è in tavola. 

 

Quando entrò nel salone, alle  7.01, le sei donne sono già tutte sedute. 

A me tocca il capotavola: “paghi tu stasera mi dicono, sei capotavola!”.

Esce una serata da ricordare per tutta la vita ridendo e scherzando come 7 matte.

 

Ad un certo punto una di loro mi guarda e mi dice: “stasera siamo tutte la tua mamma”. 

Io rimango senza parole, completamente muta anche perché non avevo raccontato ancora nulla di me e della mia storia. 

 

Poi raccontando di mia madre sempre la stessa donna mi dice: “sai, io non ho avuto figli ma tu stasera sei la mia”. 

 

Dopo cena ci spostiamo nel salottino e beviamo il caffè come si usa fare qui. 

Ci scattiamo una foto tutte insieme e poi torno nella mia casetta con mille emozioni nel cuore e un solo pensiero.

 

Le coincidenze non esistono. Mai.

 


16 Tappa: Sør-Fron - Kvam

 

Stamattina faccio colazione davanti al fuoco del camino acceso con le sei mie donzelle norvegesi nonché mamme per una notte e riparto.

 

La giornata parte bene ma con un finale piuttosto sotto tono…

 

Nella prima parte della mattinata penso ancora all’incontro con queste sei donne norvegesi. Ieri sera si parlava del fatto che per quanto sia un’esperienza unica e meravigliosa non sia necessario per una donna diventare biologicamente madre per poterlo essere in altre forme e in altri modi. Il senso della cura, dell’amore incondizionato, dell’aiuto, la delicatezza, la speranza, la forza… sono, di base nel DNA di ogni donna. 

 

Anche stamattina un bello strappo in salita per riconnettere immediatamente il corpo alla terra: dopo 10 minuti sono già marcia fradicia di sudore.

 

Con una tirata unica arrivo a 700 metri sul livello del mare, in alto, sulla collina. 

La vista sulla valle è spettacolare e posso vedere sempre più da vicino la montagna Jotunheimen, dove vive il gigantesco troll Joten.

 

Inizio poi una ripida discesa di sassi e terra e passo per HAGA, la fattoria di Peer Gynt, ora un resort di lusso che non può essere visitato senza prenotazione. Peer Gynt è un'opera teatrale scritta dal drammaturgo norvegese Henrik Ibsen nel 1867.

Peer, giovane irrequieto, contro il volere del padre ricco e facoltoso, si innamora di Solveig al matrimonio di lei. Peer seduce la sposa e passa una notte con lei sulle mon-

tagne. Per questo peccato non è più il benvenuto nel suo villaggio e fugge nei boschi incontrando i troll, che gli consigliano di trovare la sua vera natura. Inizia quindi

a viaggiare per il mondo, vivendo senza rimpianti e reinventandosi costantemente come uomo d'affari, come profeta e anche come imperatore pazzo. Solo alla fine della sua vita, tornato nelle terre del Gudbrandsdalen, morente fra le braccia del suo unico amore Solveig, si rende conto che avrebbe potuto trovare pace e felicità

con lei.

 

Quando mi trovo all’altezza del paesino Vinstra mi trovo esattamente a metà strada per Trondheim.

 

Incontro una pecora bisognosa di coccole che finisce per seguirmi per un tratto sul sentiero quasi a sembrarmi un cane. E penso che l’amore è davvero ovunque e in tutte le cose.

 

Divo 27 chilometri arrivo a Kvam dove mi fermo per la notte. E qui inizia il declino della giornata. Il motel dove avevo prenotato, suggerito anche dalla guida, si rivela una topaia mai vista. La reception è dentro un fast food che una volta era un music bar. 

Il tempo di entrare e chiedere al ragazzo dove fosse la reception i vestiti si impregnano di una pizza indescrivibile di patatine e hamburger in un ambiente chiaramente privo di areazione. Mi da le chiavi, entro e la stanza è inguardabile. Torno indietro e gli chiedo di d’arme e un’altra. Si, migliora ma ancora non ci siamo con dettagli non accettabili…

Mi metto a cercare altro su internet ma sono in mezzo al nulla e dovrei o tornare alla fattoria o raggiungere la tappa successiva ma qui bon esistono taxi. 

Tempo di cercare passa 1 ora. Per fortuna trovo un campeggio a 500 metri con il laundry service e l’asciugatrice e meno male perché si è fatto tardi e se lavassi le cose adesso non sia sicurerebbero mai in tempo. 

 

Alla fine capisco che devo farmi andare bene delle cose e restare nel motel.

Per fortuna c’è un mini market dall’altra parte della strada. L’unico negozio in tutto il paese e riesco a comprare qualcosa per cena e per colazione.

 

Vado a letto distrutta. Non capita spesso, ma queste sorprese capitàni e fanno parte del cammino.

 

Domani è un altro giorno. 

 

 


17 Tappa: Kvam - Otta

 

Una lunga lunga nottata. 

Dopo essermi messa a letto intorno alle 22 riesco ad addormentarmi solo intorno alle 2.30 del mattino mentre sono distesa come imbalsamata nel letto per cercare di toccare il meno possibile ciò che mi circonda. 

 

Alle 4.05 mi bussano alla porta. Subito penso che si tratti di un rumore appartenente al mondo dei sogni e pur svegliandomi rimango ferma nel letto. Poi mi ribussano. A questo punto capisco che si tratta della realtà e con un unico balzo sono in piedi. Chiedo chi è e che cosa vuole. Mi risponde un uomo che mi parla prima in norvegese poi non rispondendo prova in inglese e chiede se so se affittino una stanza. Io esterefatta gli rispondo che sono le quattro del mattino, che sta bussando alla porta di un ospite e che non ho scritto “reception” sulla mia porta! 

Lui mi manda non elegantemente a quel paese, gli ribadisco che stavo dormendo e che mi aveva svegliata disturbandomi e per contro mi rimanda a quel paese. Poi sento un’auto sgommare via e dopo il silenzio. Di sicuro un tipo ubriaco. 

 

Ovviamente la cosa mi scuote e rimango per un’altra ora sveglia sconcertata dal fatto che fosse potuta realmente accadere una cosa del genere dopo la serata e nottata difficile che stavo già vivendo. Ad un certo punto mi addormento ma poco dopo si fa giorno. A quel punto decido di alzarmi definitivamente e di andarmene per sempre da questo posto che stava diventando il set di Shining o di qualche thriller di Hitchcock.

 

Oggi mi aspettano tre salite importanti e altrettante discese con forse due ore di sonno in totale e uno stress e una tensione addosso da corda di violino. 

I primi passi li faccio barcollando da una parte all’altra del marciapiede, mi sento ubriaca di stanchezza. So che oggi sarà davvero un’impresa. Non sono neanche certa di farcela ad arrivare alla fine della tappa. 

 

Inoltre, nella mattinata, è un continuo sbagliare strada e ogni volta che succede, tra l’altro, mi perdo dopo aver fatto salite pazzesche che non portano poi da nessuna parte. Sono troppo stanca e poco concentrata. Ma non voglio mollare. 

 

A spezzare un pò questa energia pesante che mi trascino da ieri sera, come una sorta di intervento divino, c’è l’attraversamento di una foresta incantata dove sicuramente vivono i troll o qualche fata turchina. Ed è a loro che oggi chiedo, per osmosi, che mi trasmettano la carica e la forza per camminare fino alla fine di questa tappa. 

Per la prima volta da ieri sera sento distendersi i muscoli del viso e la tensione nella schiena. Vedo anche uno scoiattolo che riesco a fotografare prima che scompaia sulla cima dell’albero.

 

Mancano 291 chilometri a Nìdaros.

 

Il tratto che attraversa il comune di Sel offre una natura meravigliosa, oltre a ripide salite e discese. Molti pellegrini trasportavano 

una pietra lungo la strada che avrebbero poi lasciato alla croce di legno di Stahein da dove si apre un paesaggio incredibile sulla valle.

 

Oggi trascorro sostanzialmente tutta la giornata nelle foreste. Una solitudine e un silenzio ancestrali che mi ripuliscono da tanta energia negativa che avevo addosso. 

E nonostante la stanchezza, la bellezza e la magia di questi alberi, di queste felci, di questi muschi da fiaba mi restituiscono forza e volontà di non rinunciare ad andare avanti. 

 

Quando esco dall’ultimo tratto di foresta riprendo il contatto visivo sia con il cielo nascosto prima dagli alberi che con il Lägen. Le nuvole che mi circondano ovunque non fanno presagire nulla di buono.

 

Arrivo ai piedi della terza e ultima montagna di oggi. Metto i vestiti da pioggia, mangio una barretta energetica, mi metto psicologicamente e a livello corporeo in “modalità sport” e inizio a salire a ritmo serrato. E’ l’ultimo sforzo che chiedo a tutte le mie parti: al corpo stremato, alla mente che continua a dirmi di mollare e al cuore che invece mi sorregge e che vince su tutti, come sempre. Ce la posso fare. La salita è una pietraia scivolosa e ripidissima verso il cielo e ogni passo mi sembra una sorta di conquista da scrivere sul libro di storia. 

 

Durante la scalata incontro prima la croce di Stahein dove mi fermo per riprendere fiato per poi arrancare, con le ultime gocce di benzina che mi rimangono, fino alla vetta. 

Ce l’ho fatta!

 

Da qui incomincia una discesa ripidissima che in di 7 chilometri mi porta verso Otta la destinazione di oggi.

 

Quando arrivo nell’alberghetto del paesino, dalla felicità, mi sembra di essere nella suite di un 5 stelle!

Mi faccio una doccia bollente, mi lavo i capelli, me li asciugo con un fantastico phon (e lo sottolineo perché ieri sera non avevano neanche un phon da darmi!), tutto è pulito e le lenzuola profumano di fresco.

 

La signora mi vede così distrutta che mi offre un cappuccino (norvegese…) bollente e quando le racconto della disavventura di ieri mi dà la camera con la vista più bella sulla montagna. “Così si rigenera meglio” mi dice sorridendo. 

 

Alla fine, dopo la cena, sul vetro del finestrone della camera iniziano a ticchettare le prime gocce di pioggia mentre scende la nebbia sulle montagne. Un tempo da lupachiotti.

Io, al caldo e felice come una bambina con il suo cartone preferito davanti, mi godo questo meritato finale.

 

 


18 Tappa: Otta - Dovreskogen

 

Una profonda dormita e stamattina sono pronta per ripartire con entusiasmo. 

La signora alla reception, che era stata così carina con me ieri al mio arrivo, stamattina mi regala un pacchettino di frutta secca “per la tua prima pausa”, mi dice.

Porto con me il suo sorriso e la sua gentilezza.

 

5 chilometri dopo Otta visito la chiesa di Sel per poi attraversare per la prima volta il fiume Lägen e costeggiarlo sul lato ovest. 

Entro nella riserva naturale di Skottvatnet, habitat di alci, ma purtroppo non ne avvisto nessuno. 

 

Sul grusvej incontro poi un piccolo animaletto che sembra impazzito. All’inizio penso che sia un topolino ma ha un muso stranissimo, allungato, forse si tratta di un topo ragno. 

Si è sicuramente perso e sta cercando compulsivamente e disperatamente la mamma. Con una foglia cerco di dargli da bere e poi lo spingo fino al bordo del prato per evitare che qualche trattore lo calpesti. 

 

Dopo la fattoria di Jorundgard entro nella prima foresta di oggi e incomincio bruscamente a prendere quota.

Il sentiero è parecchio dissestato e accidentato e in alcuni punti faccio fatica a proseguire. Devo prima studiare dove posizionare i piedi e che traiettoria prendere. Inoltre dopo la pioggia di stanotte ci sono un sacco di fango e melma che rendono insicuro il passo. Non sono ammesse mosse false. 

Supero poi un piccolo torrentello dove la pietra che mi permette di attraversarlo sembra sorridermi.

 

Da qui e per circa 4 chilometri la tappa di oggi diventa tecnicamente difficile, necessita di un minimo di esperienza e passo molto sicuro per non rischiare di farsi male. Non c’è da improvvisare soprattuto con lo zaino che sbilancia. 

Dopo 1 ora finalmente esco da questo tratto insidioso e a sorprendermi c’è una fragorosa cascata che mi rinfresca dopo tutta la concentrazione che ho dovuto mantenere. 

Continuo poi a salire sul sentiero a serpentina finché sbuco su un grusvej.

 

Trovo alcune pecore che mi seguono per un pò sul cammino; ormai è chiaro che ci sia una certa simpatia tra me e qualsiasi pecora incontri.

Riattraversando il Lägen in lontananza vedo il Vollheim Camping dove mi fermerò stasera per la notte.

 

Ad accogliermi ci sono Annet e Cyril, una coppia olandese che ha mollato il business cittadino in Olanda e ha rilevato proprio quest’anno il Camping.

 

Approfitto per fare una lavatrice dato che fanno questo servizio e poi ceno a base di burritos vegetariano che mi prepara Annet.

 

Portandomi la cena nel mio Hytter, una piccola cabina con vista sul Lägen, insistite a darmi a tutti i costi anche un mignon di liquore alle erbe che mi dice di conservare per berlo quando arriverò a Nidaros.

 

Ora nello zaino ho il dolce di Astrid e il liquore di Annet, due tentazioni che mi devono rendere ancora più forte nel mantenere il mio fioretto: no dolci e no alcolici fino all’arrivo. 

Se continuò così avrò un pasto completo e pronto al mio arrivo!

 

 


19 Tappa: Dovreskogen - Dovre

 

Oggi è la terza domenica in cammino. 

Al Vollheim Camping sono totalmente immersa nella natura da non percepire attorno a me quella sensazione di tutto chiuso tipica del paese. In qualche modo questo, però, mi fa sentire ancora di più la solitudine di questa giornata di festa.

 

Fuori ci sono 8 gradi. Annet mi porta la colazione. Mi preparo un panino per il pranzo, ripongo tutto nello zaino e parto.

 

Oggi attraverso la foresta di Dovreskogen che mi accompagna fino al paesino di Dovre. 

Qui vedo e saluto per l’ultima volta il fiume Lägen che mi ha accompagnata per 7 giorni attraverso la valle Gudbrandsdalen.

Passo davanti alla chiesa del paese, molto affascinante, ma purtroppo chiusa.

 

In questo tratto di cammino tutto è verdissimo e solo le fattorie, dall’ormai familiare pantone rosso-bordeaux, interrompono questo incredibile quadro su tela.

 

I trattori tagliano l’erba e le mucche pascolano felici in questi campi infiniti che si protraggono fin sulle cime delle colline.

 

Mi aspettano ancora 12 giorni di cammino. 

 

Domani entrerò nel Parco Nazionale di Dovrefjell, l’altopiano che contiene i paesaggi più suggestivi di tutto il cammino. 

E’ come se mi fossi preparata fino a qui con fatica e determinazione per questo grande giorno. Ed ora è arrivato. 

 

Resterò sulle montagne per 5 giorni senza nessun tipo di servizi se non i posti dove alloggerò la sera che mi daranno cibo e un letto.

 

Per il pellegrino Dovrefjell è il simbolo magico e affascinante del complicato passaggio verso Nord.

E’ la zona dei buoi muschiati, delle alci e della natura selvaggia e sconfinata. Del freddo e del silenzio. 

 

Stasera dormo a Toftemo, un hotel dal 1820 alle porte del Parco. Mi informo sul meteo dato che si tratta di una zona impervia e la traversata è consigliata solo con il bel tempo. Le previsioni sono buone, domani si sale in quota.

Domani è il grande giorno. 

 

Emozionata vado a letto.

 

 


20 Tappa: Dovre - Parco nazionale del Dovrefjell

 

Al mio risveglio stamattina una coltre di nuvole bianche ricopre completamente il cielo. 

Le previsioni meteo hanno decisamente sbagliato. Alle otto la situazione è ancora la stessa. Ricontrollo il meteo che continua a confermare che la giornata sia completamente serena. Sono confusa e titubante. 

Decido di partire lasciando la decisione finale all’ingresso del Parco di Dovrefjell.

 

Nell’ultimo tratto di asfalto che mi collega alla montagna per terra vedo una macchia d’olio a forma di cuore. Penso: è il segno che andrà tutto bene oggi. Mi sento tranquilla e ho anche le tracce gps sul telefono per orientarmi meglio se dovessi incontrare nebbia.

 

Supero le fattorie Tofte e Budsjord. Un cartello mi segnala che da questo punto inizia la Kongevegen, la strada del Re, che ha permesso a cavalli e carrozzine di attraversare l’altopiano di Dovrefjell a partire dagli inizi del 1700.

In onore della strada reale lungo questo tratto i segni che indicano il cammino del pellegrino diventano piccole corone blu.

 

Oggi è la giornata delle porte e dei varchi. Come se dovessi prendere sempre e maggiore coscienza e consapevolezza di stare attraversando un luogo sacro e prezioso. 

All’ultima porta trovo un cartello che mi mette in agitazione. 

Dice che sto per intraprendere un passaggio critico per i pellegrini, che il sentiero attraversa un terreno accidentato di alta montagna con condizioni meteorologiche instabili e temperature variabili, che il fiume Hundyrju è difficile da attraversare durante questo periodo. In ultimo di non iniziare dopo le 14 e il numero di emergenza.

 

Per un attimo mi sale l’ansia. Molte cose ovviamente le sapevo già ma messe giù così e con il tempo che non promette bene entro in crisi. 

 

Guardo in cielo ancora una volta ma del sole nessuna traccia da nessuna prospettiva.

Faccio un patto con me stessa: se dovesse scendere una nebbia densa torno indietro. 

 

A causa del clima proibitivo sull’altopiano incontro solo muschi, betulle nane e cespugli di bacche. Le sfumature della tundra, seppure non ci sia il sole, sono incredibili e magiche.

 

Attraverso una serie di torrenti guadandoli e ogni volta che sento che mi sto avvicinando ad uno ripenso al cartello e mi sale un pò d’ansia. Se non dovessi essere in grado di guadarlo tornerò indietro, mi ripeto nella mente. Sono sola, nessun colpo di testa. 

 

L’atmosfera senza il sole e quasi minacciosa. Il silenzio è totale. Non c’è neanche il suono di un uccello a farmi compagnia. Gli unici rumori che sento sono quelli dell’acqua che scorre giù per la montagna da nord attraverso gli innumerevoli torrenti, il vento freddo che sibila e le campanelle delle pecore in lontananza.

 

Il terreno è completamente inzuppato di acqua e a metà percorso, nonostante gli scarponi siamo in gorerex, sono marci. Camminando per interi chilometri immergendoli completamente nell’acqua incominciano a non tenere più e inizio a sentire i piedi bagnati.

 

A mezzogiorno arrivo sulla cima dell’Harbakken, il punto più alto dell’alto piano a circa 1400 metri di altitudine e il sole esce per qualche istante. Credo ci siano non più di 5 gradi. Forse meno. Sento le mani ghiacciate. 

Nonostante non ci sia il sole lungo la salita le vedute sono di una bellezza sconcertante che faccio fatica a descrivere. 

 

Poco dopo mezzogiorno il cielo si squarcia e il sole esce scaldandomi pian piano la testa, le spalle, le braccia e le mani. Voltandomi indietro rimango estasiata dalla bellezza che mi circonda, da questo silenzio che a volte mi esprime e mi porta solitudine e in altri momenti mi tocca così dentro nell’anima da farmi sentire parte di un tutto molto più grande di me. 

E con il sole si apre la vista sulla montagna di Snøetta e i monti di Jotunheimen, la catena con le vette più alte della Norvegia. 

 

Qui il tempo muta improvvisamente e per questo in passato la zona rappresentava il simbolo delle forze oscure. Secondo le leggende troll, spiriti e fate vivono tra le montagne e se ci si ferma ad ammirare la natura selvaggia e sconfinata non è raro venir colti da un pò di paura. E in effetti vivo diversi stati d’animo durante il cammino.

 

Da questo punto mi aspettano ancora circa 15 chilometri per raggiungere il rifugio Furuhaugli dove mi fermerò per la notte.

 

Mentre inizi la discesa un’emozione fortissima mi travolge. Mi sento di toccare il cielo con l’anima. 

 

Dall’alto posso ammirare la zona della riserva naturale Fokstumyra che contiene la palude più grande d’Europa. 

 

Arrivata al rifugio mi accoglie il proprietario Andrew, un ragazzo della mia età simpaticissimo e con un sorriso immenso. 

La cena è strepitosa, finalmente sapori diversi e con piatti curatissimi! 

Dopo cena mi rintano al caldo nella mia cameretta che ha una piccola vetrata che affaccia sulle montagne da cui mi godo il tramonto che scende dietro alle montagne.

 

Domani un’altra incredibile tappa che consisterà in un safari di circa 15-20 chilometri alla ricerca del leggendario bue mischiato della tundra norvegese.

 


21 Tappa: Parco nazionale del Dovrefjell - Hjerkinn

 

Oggi continuo il mio cammino avanzando nella tundra selvaggia del Parco Nazionale del Dovrefjell sulle tracce del bue muschiato norvegese che deve il suo nome al caratteristico odore di muschio che emanano i maschi nel periodo degli amori.

 

Dopo una lunga salita raggiungo il grande pianoro dove questo imponente animale, che arriva direttamente dall’era glaciale e può pesare fino a 400 chilogrammi, d’estate viene a cercare muschi e bacche per rifocillarsi. 

Si tratta infatti di un erbivoro artico che viveva in Norvegia migliaia di anni fa prima di estinguersi definitivamente dopo l'ultima era glaciale. E’ uno dei pochi grandi mammiferi del Nord che sia sopravvissuto fino ai giorni nostri.

Nel 1931 furono reintrodotti senza successo alcuni esemplari dalla Groenlandia, decimati a causa della caccia intensiva.

 

Nel 1953 un gruppo di animali della Groenlandia si è stabilta autonomamente sull’altopiano del Dovrefjell. Da allora il loro numero è cresciuto costantemente e oggi si contano fino a circa 350 buoi muschiati.

 

Sul pianoro il paesaggio è immenso. Davanti a me il maestoso monte Snøhetta che raggiunge 2286 metri di altezza e una vista a perdita d’occhio e di fiato che mi restituisce quella sensazione impalpabile dell’infinito. 

Una sorta di prolungamento di qualcosa che non vedo ma che dentro di me riconosco a livello animico.

 

Dopo svariati chilometri camminando sui molleggianti muschi color oro avvistiamo finalmente un branco di 12 esemplari: 2 maschi, 6 femmine e 4 giovani.

 

Fa davvero un grande freddo. Sono vestita a strati come una cipolla: canottiera, tshirt, pile, piumino smanicato e antivento. 

Il vento soffia forte e anche se c’è il sole dopo un’ora di appostamento pressoché immobile per non attirare la loro attenzione, la punta delle dita incomincia ad addormentarsi. 

 

Osservarli nelle loro dinamiche con il binocolo è uno spettacolo ma purtroppo non possiamo avvicinarci perché ci punterebbero e sbranerebbero immediatamente e correndo a 60 km/h la frittata sarebbe fatta in un attimo. Splash. 

Inoltre ci sono 4 giovani esemplari e quando i buoi muschiati hanno nel branco qualcuno da difendere i maschi diventano molto aggressivi.

 

Prima di perdere completamente la sensibilità  delle mani e felice del forunato safari di oggi mi incammino proseguendo verso il rifugio che mi ospiterà stasera. 

 

Quando entro e chiedo della cena il proprietario mi intima che posso mangiare solo se torno entro le 18. 

Gli chiedo il phon (a questo giro potrei uccidere se non me lo desse dopo la notte innominabile a Kvam). Me lo consegna insistendo di non tenermelo. Allora: sono una pellegrina che cammina da 21 giorni pesando anche i millilitri di acqua che mette nello zaino ogni giorno, secondo te mi potrei mai tenere un phon che pesa un chilogrammo? Ovviamente questo lo penso mentre le mie corde vocali emettono una risposta con moderata gentilezza e pacatezza: certo Sir, non ho intenzione di portarmelo a Trondheim. 

 

Faccio al volo una doccia bollente e corro a cena. 

L’unico piatto senza carne è una trota fritta. Chiedo alla cuoca nonché moglie del proprietario se per favore me la può cuocere senza friggerla. Alza gli occhi che aveva appoggiati alla cassa e sono letteralmente infuocati di disappunto come se l’avessi insultata con le peggiori male parole che potrei avere a disposizione nell’ampio vocabolario italiano e non solo.

 

Ritratto con assertività e ironia: “se crea troppi problemi cuocerlo in altro modo lo mangerò fritto se poi non lo digerisco verrò a bussare alla sua porta stanotte”. 

Forse si rende conto, si ricompone negli occhi di brace degni del Caronte dantesco e accetta.

 

E così si torna all’ormai consolidato pasto norvegese ma almeno la trota è pescata qui a due chilometri nel lago Avsjonen. Insomma come dire: poco gusto ma tanto “chilometro zero”. Ovviamente con patate bollite e cetriolo come contorno, da manuale. 

 

Il vento di oggi oltre a sfiancarmi mi ha ucciso anche la faccia. Prima di mettermi a letto apro uno dei miei diciotto dispenser da viaggio in cui porto in versione miniatura praticamente tutto ciò che ho nel mio bagno di casa e mi spalmo la crema sulla faccia rovente. Potrei cuocere tranquillamente due uova al tegamino, penso. 

 

Domani si continua a camminare tra le montagne verso Nord.

Trondheim si avvicina.

 


22 Tappa: Hjerkinn - Kongsvold

 

Oggi mi alzo più tardi del solito. Alle 6 danno ancora (e solo) 2 gradi. Mi rifiuto categoricamente. 

Quando mi incammino, verso le 9, il sole è già alto e il cielo è completamente terso senza l’ombra nemmeno di una nuvola. La temperatura è accettabile, posso partire. 

 

Passo alla reception e vado a pagare. Il proprietario dopo che: uno, sono stata puntuale alla cena di ieri mangiando entro le 18 come mi era stato intimato e due, ho restituito il phon senza portarmelo dietro, sembra aver cambiato atteggiamento nei mei confronti e stamattina è tutto carino e gentile. Eh si, gli ho dimostrato che sono proprio una ragazza brava ed educata.

 

In estate il freddo sulle montagne norvegesi picchia davvero duro ancor più di quello che potessi immaginare. Alla reception c’è una vetrinetta con dei maglioni di lana in autentico stile norvegese. Sono di lana e fatti a mano, caldissimi e al contempo leggerissimi. Decido di comprarne uno per non morire di freddo nei prossimi giorni perché nonostante l’abbigliamento tecnico non mi sento ancora abbastanza coperta.

 

Quando prendo il sentiero nella tundra i cespugli sui bordi sono completamente ricoperti di brina. Stanotte ha sicuramente gelato. 

 

Già dai primi passi mi sento completamente immersa in me stessa e al contempo come fusa nella natura che attraverso.

Ho nel cuore ogni centimetro e ogni passo dei luoghi che ho percorso fino ad ora, ogni albero che ho abbracciato, ogni animale che ho accarezzato. Non si tratta solo di ricordare ma di aver inglobato e assorbito ogni sensazione ed emozione vissuta e di essermi nutrita della terra, del cielo, dell’acqua e del sole.

 

In alcuni tratti il muschio sembra come un tappeto e mi ricorda la sakura, la fioritura dei ciliegi in Giappone.

 

Oggi attraverso nuovamente una zona paludosa dove questa volta, per fortuna, sono state appoggiate sul terreno nelle zone sommerse d’acqua, delle assi di legno che permettono di mantenere piedi e scarponi asciutti.

 

Con una splendida vista sul Monte Snøhetta proseguo sul sentiero che per secoli è stata la principale via di transito per la Norvegia settentrionale attraverso le montagne.

 

Ad un certo punto la salita diventa aspra e impervia fino al punto più alto di oggi, il Hjerkinnøe. 

In questo luogo la solitudine diventa contemplazione e sento che non potrei essere in nessun altro posto che qui, dove mi trovo in questo istante.

 

In alcuni tratti, nonostante la salita, smetto di percepire la fatica nel corpo e divento sole, divento il vento, la polvere, l’erba, il cielo. Mi espando e ogni cosa diventa il prolungamento di me stessa. Tutto è uno. E io sono tutto. 

Credo stia proprio in questo ciò che mi riporta ogni volta a rimettermi in cammino e in questo risieda la risposta a quanti mi chiedono “perché?”.

 

Ogni cammino che ho percorso ha sempre avuto un culmine e mi ha sempre regalato un climax dell’anima. So che oggi è stato quel giorno. 

Il giorno che è valso l’intero viaggio.

 

Stasera dormo nell’antica residenza di Kongsvold una residenza dove viaggiatori e pellegrini hanno trovato rifugio fin dal medioevo. 

 

E con oggi sono 518 chilometri percorsi e circa 200 ancora da percorrere per raggiungere Nidaros. 

 

Sono piena di gratitudine.

 

 


23 Tappa: Kongsvold - Driva

 

Oggi mi aspetta la giornata più lunga è più faticosa di tutto il cammino. Sfioro i 40 chilometri con in mezzo la montagna di Drivdalen da scalare. 

Intorno ai 25 chilometri, superata la cima, c’è il rifugio non custodito di Riphusan: senza corrente, senza acqua, senza riscaldamento e una camerata unica. 

Non pensando neanche lontanamente di potermi fermare una notte in questo bivacco devo proseguire per forza ben oltre la tappa prima di trovare un posto per la notte. 

 

Stamattina quando mi affaccio dalla finestra i campi sono completamente bianchi e ricoperti di ghiaccio. La temperatura stanotte è scesa di qualche grado sotto lo zero. 

Nonostante la montagna sia ancora all’ombra e faccia ancora un gran freddo non posso aspettare a partire oggi, ho troppa strada da fare e non so quanto impiegherò a superare la montagna. Devo mettermi sul sentiero appena possibile.

 

Un ultimo spettacolare viaggio sull’altopiano del Dovrefjell. 

Salgo rapidamente lungo il Värstigen, il cosiddetto sentiero di primavera, il tracciato ripido e stretto che era usato quando la neve che si scioglie in primavera rendeva impraticabile il fondovalle.

 

Solo alle 10 intercetto finalmente il sole. Ci sono 6, 7 gradi al massimo. Dopo un chilometro sono già fradicia di sudore ma non posso fermarmi perché mi raffredderei e perché probabilmente non ripartirei più vedendo la pendenza della salita.

 

Il cielo blu, insieme al sole, anche oggi illuminano i miei passi. Sono molto grata per questo. Con questo clima e questo sentiero spesso accidentato il bel tempo è sacro. 

 

Salendo trovo un altro cuore per terra che mi rassicura sul fatto che andrà tutto bene anche oggi, nonostante in diversi momenti mi prenda un pò di sconforto per la fatica della pendenza e per la lunghezza della tappa che sembra non finire mai.

 

Il paesaggio maestoso e potente mi ripaga di tutto lo sforzo fino al punto più alto di tutto il cammino di Sant’Olav. Qui tutto tace in un silenzio immacolato. 

Le pecore, disabituate a qualsiasi contatto umano, sono davvero selvagge e non si fanno avvicinare.

 

Quando bevo l’acqua delle borracce e così fredda che devo tenerla in bocca per qualche secondo per non farmi venire una congestione. 

Oggi mi sento un pò vichinga per l’impresa titanica che sto compiendo e altrettanto per nulla vichinga per quanto patisca questo freddo che con il vento mi taglia la faccia.

 

In cima soffia così forte che riesco a malapena a tenere gli occhi aperti. 

Oggi sono l’unico essere umano su queste  montagne e ne sono certa perché posso vedere a 360 gradi tutto ciò che mi circonda, compreso il sentiero prima e dopo di me. È una sensazione incredibile quasi primordiale di abitante della terra e al contempo quasi di superstite.  

 

Arrivo al rifugio non custodito di Riphusan. Dopo 15 chilometri di continua salita, ora mi aspettano 24.8 chilometri (così segna il gps a fine giornata) in discesa fino alla destinazione di stasera, il Granmo Camping.

 

Con oggi ho conquistato le montagne e dopo 5 giorni incomincio la discesa verso la civiltà che non mi è mancata per nulla. 

Mi lascio alle spalle il tratto più impervio e difficile di tutto il cammino ma anche il più suggestivo, il più emozionante e il più selvaggio. Lascio giorni senza cemento e senza tutte quelle facilitazioni che mi rendo conto essere non così necessarie e fondamentali come si pensi. 

Non smetterò mai di affermare che la natura sia l’unica e la sola vera medicina di cui abbiamo bisogno e che peraltro è gratis. 

 

Oggi mi volto indietro diverse volte, quasi come se non volessi lasciare quella natura incontaminata e così potente che mi ha permesso di attraversarmi, di perdermi e di ritrovarmi.

 

Mam mano che scendo anche la temperatura si alza. Rincontro le fattorie, i pascoli, le mucche.

 

Al 33esimo chilometro sono sfinita e mi fermo per una piccola sosta alla chiesa di San Michele.  

Tre caprette sul tetto di un ripostiglio di una cascina mi strappano un sorriso e mi distolgono per un attimo dai chilometri che ancora mancano.

 

Arrivo al Camping pressoché strisciando i piedi, dopo aver camminato ininterrottamente per quasi dieci lunghissime ore.

 

Per cena c’è pizza oppure pizza. Prendo la pizza. Niente male però, un’ottima pausa dai miei amici rosa…

 

Domani è prevista la solita tappa settimanale di  decompressione. Sono vicina ad Oppdal, un paesino dove troverò i beni di prima necessità e dove quindi fare rifornimento delle cose che ho finito dato che per le prossime tre tappe non ci saranno altri posti con alimentari o farmacie. 

 

- 7 giorni a Trondheim.

 


24 Tappa: Driva - Oppdal

 

Oggi tappa abbastanza breve e di defaticamento dopo l’impresa titanica di ieri. 

Mi alzo con calma, faccio colazione e mi incammino nella campagna della contea di Oppdal.  

Stanotte mi sono svegliata diverse volte con qualche crampo ai polpacci e qualche doloretto qua e là ma ci sta ieri ho portato il corpo un pò al limite, ne ero consapevole.

Oggi gli devo come minimo una tregua e tanta cura. Stamattina mi massaggio e “imburro” generosamente le gambe con arnica e lasonil e lascio il camping. 

 

Costeggio per un lungo tratto il fiume Driva per poi visitare il sito di Gravfeltet pã Vang, il più grande luogo di sepoltura dell'era vichinga, con i suoi 760 tumuli funerari. Un luogo pieno di pace e bellezza grazie agli alberi e ai prati verdissimi che ne sono lo sfondo.  

 

Per arrivarci faccio una bella salita e sbuco poi su una stradina in collina con delle case bellissime, come piacciono a me: vetrate immense che guardano le montagne e un giardino perfetto con l’erba che sembra quella di un campo da golf. 

Sono così immersa nell’ammirarle che non mi rendo conto ma cammino per qualche chilometro e inizio a scendere verso il paese. Evidentemente salto le indicazioni per la Chiesa di Oppdal.

 

Ad un certo punto mi sembra strano non averla ancora incontrata, prendo il telefono per cercare l’indirizzo. Combinazione mi fermo davanti all’ufficio pastorale che è situato nel centro ed esce il parroco che capendo che sto cercando qualcosa mi viene in soccorso.

“Ti ho vista sulla strada prima sai?”. Gli chiedo dov’è la chiesa e lui mi risponde “è 5 chilometri indietro sulla collina”.

L’ho mancata. 

In un’altra vita, appena una decina di anni fa, mi sarei arrabbiata furiosamente con me stessa per essermela persa e forse sarei anche tornata indietro perché “dovevo” vederla.

Fare 10 chilometri tra andata e ritorno nella  giornata di defaticamento in cui ho promesso al mio corpo di non stressarlo e considerando in ultimo che sono ormai arrivata nel centro di Oppdal mi sembra un’ostinazione che posso pacificamente sopportare con me stessa di aver mancato. Decido di lasciar stare. Il parroco mi benedice. E io proseguo.

 

Rivedo le auto, ricontatto i rumori cittadini e mi sembrano un frastuono assordante dopo il silenzio di questi cinque giorni sulle montagne. Ho quasi un rifiuto, vorrei scappare indietro.

 

Appena entro nel centro di Oppdal vedo attraverso la vetrina un bar che ha la macchina del caffè espresso. Un miraggio. Mi inchiodo alla porta di ingresso, entro e chiedo se posso aver un cappuccino. “Certo”.  Ma un vero vero vero cappuccino italiano? “Si, Certo”. 

Dopo 23 giorni di acqua sporca, non me ne vogliano i norvegesi, finalmente un cappuccino con un vero caffè espresso e una vera schiuma soffice in cui sprofondare le labbra. Lo bevo come se fosse un bicchiere di Krug. 

 

Il bancone è pieno di dolci, il bar è anche una panetteria. Una fatica bestiale, pago in fretta e vado a sedermi il più lontana possibile dalle tentazioni. Ho resistito per 24 giorni, non posso mollare proprio ora. 

Sono così felice del mio cappuccino che mi ricordo di fotografare questo attimo idilliaco solo alla fine, quando l’ho già bevuto. La felicità è una cosa semplice.

 

Arrivata alla guesthouse mi faccio una bella doccia calda e inizio a fare il giro dei negozi per comprare le cose della lista sulle note del telefono. 

 

Finisco la giornata con una zuppa di pesce e una passeggiata. 

Fuori ci sono 14 gradi, tutti in maniche corte e io la solita cipolla ambulante italiana con 3 strati di vestiti. Cinque minuti prima che chiuda il piccolo negozio di sport mi compro anche un berretto in lana merinos. No vabbè. 

 

C’est la vie, anzi, det er livet.

 

 


25 Tappa: Oppdal - Havdal

 

In pappa a tutti i vichinghi calorosi l’acquisto “last second” del mio berretto in lana merinos di ieri sera si è rivelato strategico. Stamattina la temperatura non è freddissima ma c’è il vento forte e finalmente le mie orecchie al caldo. 

 

Oggi la giornata si alterna tra sentieri erbosi e i grusvej, le ormai familiari strade sterrate norvegesi, in una tappa lunga per i suoi 32 chilometri ma senza grossi strappi e salite.

Ne approfitto per prendermi il tempo e ammirare il paesaggio stupendo che mi si presenta per tutto il tempo.

 

All’uscita di Oppdal ripasso davanti al bar del cappuccino ma purtroppo è ancora chiuso, peccato speravo in un’ultima chances di vera caffeina. 

 

Il cielo stamane è un gioco incredibile di colori tra i suoi mille blu e le nuvole a volte bianche, a volte di un grigio minaccioso che sembrano spennellate da un pittore. 

Incontro una serie di fattorie e di case con il tetto in torba finché incappo in una mucca particolarmente loquace con cui scambiamo quattro parole e qualche muggito. 

 

Nessuna auto, nessun rumore se non quello dei trattori che passano alzando un gran

polverone. Al terzo trattore che passa fregandosene della mia presenza nonostante gli faccia insistentemente segno di rallentare cerco sul telefono la traduzione di qualche epiteto che mi possa far valere scoprendo che alla fine bastava un “kretin”. 

 

Oggi per la prima volta sento la fatica di questi 25 giorni di cammino: certo il corpo in qualche modo si è abituato al peso dello zaino, i piedi allo stare negli scarponi e le gambe a sopportare  sforzi prolungati e intensi ma sono pur sempre parecchi giorni che cammino, che dormo ogni sera in un letto diverso e che non ho un giorno di totale pausa. 

La mattina sta diventando difficile alzarmi e vorrei permettermi di restare nel letto fino a tardi. 

 

Ma poi penso all’avventura che mi aspetta sul sentiero, a quello che imparerò camminando, a quello che vedranno i miei occhi, alle emozioni che proverò… alla chiesa di Nidaros sul fiordo di Trondheim che mi aspetta e allora arriva potente la forza di alzarsi, di vestirsi e di riprendere il sentiero con energia ed entusiasmo. 

 

Le vedute sulla valle della contea di Rennebu e sulle montagne che la circondano sono a dir poco poetiche.

Le foreste di conifere sui fianchi delle montagne e i campi d’orzo biondissimi creano contrasti travolgenti per gli occhi e per l’anima. 

 

Sento come una sensazione di espansione e di apertura verso il mondo, verso ciò che è lontano da me. Quasi un messaggio che interpreto arrivarmi dalla natura che mi chiede di essere più tollerante a ciò che non mi assomiglia, al diverso da me. Al valore della diversità. 

 

Ad un certo punto, improvvisamente, il tempo cambia e arrivano una serie di nuvole enormi e scurissime. Mi mancano ancora una decina di chilometri alla destinazione di oggi e nonostante non possa controllare il meteo voglio focalizzarmi su fatto che sotto alle nuvole c’è un barlume di azzurro e c’è il sole.

 

E penso a tutte le volte che la vita cambia non perché cambi lei ma perché siamo noi a guardarla con un’altra prospettiva. Con questa convinzione in testa continuo a camminare e alla fine la pioggia non arriva mentre raggiungo Havdal Gjesteheim dove alloggerò stasera. 

Qui mi aspetta Rudolf che mi accoglie con gentilezza e mille compimenti sul fatto che sia arrivata fin qui da Oslo e pure da sola!

 

Non so perché ma era tutto il giorno che pensavo alla Fanta che per altro non bevo credo da 10 anni e appena entro la vedo lassù sul primo piano del frigo che mi guarda. 

Poi penso: no, non è un dolce però… però niente la prendo e corro in camera felice desiderando solo di togliermi finalmente lo zaino e gli scarponi, sedermi e sentire il “clack” della lattina.

 

Una di quelle piccole cose della vita che possono diventare grandi in quel preciso momento.

 

 


26 Tappa: Havdal - Rennebu

 

Quarta domenica di cammino, scrivendolo mi sembra di parlare delle quattro domeniche di Avvento, senza voler sembrare blasfema, ovviamente.

 

La prima domenica senza quella sensazione di malinconia o di solitudine. Mi sento serena sui miei passi sicuramente anche perché so che è l’ultima prima di arrivare e di riabbracciare chi amo.

 

Ieri sera avevo dato a Rudolf tutti i miei vestiti per fare un bel lavaggio in lavatrice a 30 gradi. Il lavaggio a mano ogni sera da bella lavanderina non è proprio la stessa cosa…

Me li restituisce solo stamattina per cui mi devo mettere a piegare tutto perdendo un pò di tempo dopo la colazione. Il metodo del pellegrino per piegare i vestiti è laborioso ma permette di ottimizzare lo spazio nello zaino creando come dei piccoli salamini da poi infilare nei sacchetti di plastica a chiusura ermetica e occupare così ogni angolo disponibile. Anche questa è arte. 

 

Stamattina ritrovo lo stesso cielo di ieri con mille nuvole disegnate e altrettante sfumature. Il sole fa ancora fatica ad uscire da dietro le montagne ma sono certa che non tarderà ad arrivare.

 

La prima parte della tappa mi spinge sempre più a valle ma è solo una mera illusione perché dopo circa un’ora mi fa trovare un’ardua salita per riprender quota e raggiungere in pochi chilometri i circa 800 metri di altitudine.

 

In lontananza, intanto, sento rintoccare le campane a festa che riecheggiano nella valle per la messa delle 11. Qui in Norvegia la messa viene celebrata solo la domenica a quest’ora. 

 

Incontro poi un giovane cacciatore, il prototipo del norvegese: biondo, con gli occhi azzurri e con il fucile sulle spalle. Ad accompagnarlo un bellissimo cane da caccia di nome Lima. Mi racconta che sta  facendo il training a Lima per la stagione degli uccelli che incomincerà tra poco. Mi chiede del mio cammino e quando penso di arrivare a Trondheim. Fermandomi a  parlare con lui scopro anche che ha una casa in Toscana vicino a Lucca e adora l’Italia: “ah i pomodori itallllliani”!!!

Ci salutiamo e riparto. 

 

Dopo un’ora circa mi ritrovo a passare esattamente davanti ad una casa nel bosco che avevo visto 2 ore prima! Mi congelo e rimango ferma come uno stoccafisso per qualche secondo.

Metabolizzo di aver fatto un giro in tondo, non ci posso credere!!! Ma il norvegese non poteva dirmi che stavo andando nella direzione opposta? Me ne sarei accorta prima!!! 

Ecco bello ma scemo! 

 

Rifacendo il sentiero dopo circa 4 chilometri mi rendo conto che ad un bivio il segnale mi indica di andare a destra mentre invece sarei dovuta andare a sinistra. La freccia è stata invertita e mi ha fatto compiere come una sorta di anello nella foresta. 

Beh, risultato che a conti fatti ho allungato di circa 2 ore equivalenti a circa 10 chilometri!

 

Con questi chilometri regalati la tappa a fine giornata diventa di 36 invece di 26.

Anche qui mi stupisco di me stessa: ovvio sul momento mi prende come del Pelide Achille l’ira funesta ma non mi scoraggio e riprendo il sentiero determinata. Dopo pochi passi, dovendo fare attenzione a dove metto i piedi perché ci sono dei sassi nascosti nell’erba, vedo una coccinella a terra. Niente è perduto. Forse qualcuno mi ha fatto tardare per evitare qualcosa?

 

Salendo mi addentro in una fitta foresta di conifere. Arriva una folata di vento fortissima che fa ondeggiare le punte degli alberi e sento il rumore del legno dei rami più alti che risuonano verso il cielo. Mi viene da alzare lo sguardo e sopra di me vedo come una sagoma di un corpo “celeste” negli spazi di azzurro che si creano tra un albero e l’altro.

Il pensiero corre immediatamente a mia madre come se quel vento avesse un messaggio da consegnarmi. Sei protetta, sempre. 

Forse questa era la risposta al mio aver sbagliato strada?

 

Quante emozioni in questo viaggio, quante sensazioni, quanti segni. 

 

La fatica non tarda a venire e gli ultimi 15 chilometri sono davvero infiniti. Mi fanno male le ossa dei piedi e intanto sento che una nuova vescica sta arrivando. Così per non lasciarmi sola proprio in questi ultimi chilometri che mi separano dalla meta.

 

Scendono alcune gocce di pioggia ma non le considero, continuo dritta verso la chiesa di Rennebu dove trovo la pietra miliare che mi indica 101 chilometri a Nidaros. Ci siamo manca poco, 4 giorni di cammino.

Faccio una piccola pausa, timbro le credenziali e riparto purtroppo camminando sull’asfalto. 

 

Un grusvej mi salva dal cemento negli ultimi 3 chilometri. 

Stasera sono ospite da Marie al RY di Rennebu, una fattoria con una storia di secoli. 

 

La sua fattoria, come tutte le fattorie della regione del Trøndelag si distinguono per il loro particolare stile architettonico, il trønderlän. Costituite generalmente da due piani sono larghe più di 40 metri e profonde non più di 5 o 6. Questi edifici sono stati all’argati a partire dall’unità centrale che pertanto risulta la più antica: quando una nuova generazione aveva bisogno di una propria casa la struttura veniva ampliata lateralmente. 

 

Ammirata dai racconti di Marie, a cena conosco una coppia di pellegrine norvegesi di circa 65 anni. Quando racconto loro che sono 25 giorni che cammino non ci credono e mi dicono che loro sono 10 anni che ne fanno un pezzo alla volta peraltro in un modo un pò particolare perché oltre a fare al massimo 10 chilometri al giorno di solito decidono la tappa, si fanno accompagnare alla fine in auto da chi li ospita e poi tornano indietro a piedi.

 

La casa patronale della fattoria ha mantenuto lo stile dei primi del ‘900 e con esso anche la modalità di riscaldamento.

Questo per dire che non c’è nessun tipo di termosifone o stufa e questo significa che stanotte dormirò vestita. 

 

Anche questo è il Cammino.

 

 

27 Tappa: Rennebu - Løkken Verk

 

Stamattina la temperatura nella stanza è italianamente proibitiva. Durante la notte mi sono tolta la felpa altrimenti stamattina non avrei avuto altro da mettermi addosso.

La infilo per qualche minuto sotto le lenzuola perché si scaldi prima di indossarla. 

Sopravvivo a malapena all’estate. Direi che la Norvegia, per quanto sia una terra meravigliosa e mi stia regalando un’esperienza incredibile, sarebbe per me troppo inospitale nel clima per viverci.

 

Ieri sera abbiamo parlato fino a tardi delle presenze e dei fantasmi che abitano la casa padronale della fattoria da molti anni. Marie ci racconta che devono venire anche degli esperti a fare un sopralluogo per una trasmissione televisiva che si occupa di eventi paranormali. Ho passato quindi mezza la notte in attesa stando attenta nel sentire… nel vedere…ma al mio risveglio, nessuna visita. 

 

Scendo a fare colazione e trovo Marie con il suo sorriso spumeggiante con il vassoio che trasborda di cibo. Arriva anche con una specie di borsa calda bianca nascosta sotto al cappotto a forma di gallina con dentro le uova sode bollenti. Quando la vedo non riesco a trattenermi dal ridere e dal commentare “direttamente dal produttore al consumatore!”. E tutte e quattro giù a ridere! Eh si il freddo mi fa brutti scherzi!

 

Un ricco pasto in compagnia delle due girls norvegesi, come le ho soprannominate, e tante chiacchiere tra racconti, risate e una bella energia da condividere. 

Con Marie ci riproponiamo di vederci in Italia perché lei tutti gli anni viene in Umbria per qualche mese per svernare dal freddo siderale e per scendere passa da Milano. 

 

Scatta una foto a me e alle girls, poi ci abbracciamo ben due volte sull’uscio della fattoria con l’affetto di chi si conosce da tempo e che forse si conosce da sempre e parto. 

 

Stamattina la giornata è serena ma particolarmente fredda. Appena imbocco il grusvej incontro una piccola mandria di cavalli con i loro cuccioli al seguito. Noto mille sfumature di verde che contrastano con i loro corpi sinuosi e di color marrone scuro. Sembra un olio su tela. 

 

Seguo il bacino del fiume Orkla e attraverso terreni agricoli pianeggianti e alte foreste.

E mentre sono assorta nel godermi il paesaggio, ffffssssccccc…. sento scoppiarmi la vescica che si era creata ieri nel piede sinistro nonostante il Compeed. 

Inizio a zoppicare dal dolore ma devo resistere: se tolgo lo scarpone è finita e non sono neppure a metà strada. Non mi resta che cercare di sopportare mediamente in silenzio e di abituarmi al dolore quando invece vorrei lanciare istantaneamente e violentemente lo scarpone nel fiume!

Incredibile che dopo non più di 300 metri trovi una sedia buttata così, nel prato, come se l’universo l’avesse messa per me per potermi sedere qualche minuto e accusare il colpo.

Sorrido e poi mi metto a ridere. 

 

Arrivo a Meldal dove c'è un piccolo museo a cielo aperto con vecchi edifici della regione.

Sono circa 20, in legno e ben curati in stile tronderlan risalenti ai primi anni del XX secolo.

 

Ieri avevo scritto alla struttura dove avrei dovuto dormire l’ultima notte, mercoledì, e quando mi fermo per fare una pausa trovo la risposta del proprietario che mi dice che stanotte c’è stato un incendio nella fattoria e che hanno avuto molti danni e quindi non mi può ospitare. Considerando che tutte le fattorie sono fatte di legno immagino davvero un gran disastro! Penso anche che sarebbe potuto succedere mentre ero lì. Dispiaciutissima per loro rispondo con i miei migliori in bocca al lupo. Per non lasciarmi in braghe di tela mi suggeriscono altre due strutture dove per fortuna trovo sistemazione in una. 

 

La tappa si conclude nella città di Lokken Verk, dove si trovava la prima miniera della Norvegia. L’attività mineraria ha costituito uno dei più grandi poli industriali del paese. Vi furono costruite fabbriche, uffici, negozi e una ferrovia su cui corse il primo treno elettrico della Norvegia. L’estrazione del rame cominciò nel 1652 estraendo zolfo, zinco e argento. Le miniere sono state chiuse nel 1987. 

 

Dormo sopra un Kro, la nostra “osteria”, che però sfortuna vuole che oggi sia nel giorno di chiusura. 

Non c’è altro. Il paese da cartello di inizio a cartello di fine è lungo 500 metri. 

Accanto alle camere c’è una specie di cucinotto dove potersi fare un caffè o un the. Vedo appoggiato su un mobile in alto un cartone della pizza con su scritto il nome del benzinaio che avevo superato 700 metri prima del paesino. 

 

Stasera da vera americana, italiana ma in Norvegia mi mangio la Real American pizza since 1970 alla Circle K, il benzinaio nazionale di bandiera.

La signora al bancone me la prepara con amore: e attenzione, non è surgelata!!!

 

Mi sento un pò dentro ad un film di Hollywood, nella tavola calda della pompa di benzina lungo la statale 700 Nord tra dispenser di lavavetri, bibite fredde e l’immancabile pavimento a quadretti. 

E sorrido anche stasera, in questa situazione tanto surreale quanto buffa. 

 

Ciao Peppe’s Pizza grazie che almeno tu mi hai dato la cena! Amen.

 

 


28 Tappa: Løkken Verk - Skaun

 

Stamattina ho i vestiti che sanno ancora di American Pizza. 

Ieri sera tornando nella camera della pensione trovo tre ragazzi nella cucina che stanno lavorando al computer. Sono tre ricercatori norvegesi. Gli dico che sono molto felice che ci siano anche loro, pensavo di essere sola nell’edificio. Di certo mi fa sentire più tranquilla. 

 

Un’altra mattinata con un cielo meravigliosamente blu ma fredda, davvero fredda. Anche oggi devo camminare per almeno due ore prima di sentire il tepore del sole sui vestiti.

 

Dopo un lungo grusvej in salita, per quasi 10 chilometri, entro in una foresta e sento 5 colpi di fucile uno dietro l’altro poco lontano da me.

La stagione della caccia inizia proprio a settembre e con tutti questi spari la possibilità di avvistare alci in questa zona è veramente bassa. E infatti nemmeno l’ombra.

 

Procedendo costeggio un grande lago e mi siedo per qualche minuto su un tronco tagliato e modellato a forma di sedia per ammirarne i riflessi.

 

La tappa di oggi è di nuovo lunga e faticosa. A metà percorso mi trovo ad attraversare una torbiera in una zona umidissima che mi rallenta parecchio. Il terreno, come sull’altopiano del Dovrefjell, è completamente inzuppato d’acqua.

Dopo 3 chilometri inizio a sentire i piedi che si bagnano. Nonostante stia attenta, e mi sembra di camminare sulle uova, sprofondo in continuazione nell’acqua e non c’è modo di circumnavigare il sentiero perché la palude si allarga per chilometri da entrambi i lati. 

Non c’è via di scampo. 

Solo alla fine, anche qui, quando ormai ho i piedi fradici trovo le plance di legno rialzate. Troppo tardi anche oggi. Mah, non capisco!

 

Questa è anche la zona del camemoro, una pianta rampicante che resiste anche a 40 gradi sottozero. Alla fine dell’estate, quando le bacche sono mature, diventano arancioni. I norvegesi le raccolgono per farne una marmellata, delle bevande e una crema densa che viene servita fredda come dessert.

 

Quando penso di essere finalmente in salvo dalla palude è il momento in cui i mie scarponi affondano definitivamente e vengono sommersi completamente in un tratto di acqua mista a fango. Per fortuna mi mancano solo due ore circa alla destinazione di oggi ma sono abbastanza per rendere il resto del cammino non propriamente piacevole. 

 

Nel tentativo di prendere una scorciatoia, peraltro segnalata, che mi eviterebbe di andare avanti per poi tornare indietro e allungare di parecchio la tappa per raggiungere la fattoria che mi ospita stasera finisco per perdermi… 

Ad un certo punto, dopo aver attraversato un terreno accidentato e pieno di strati di rami secchi che rendono faticoso ogni passo, mi trovo con davanti una parete da scalare. L’alternativa è tornare indietro per più di un’ora di cammino. Stringo i lacci dello zaino per avvicinarlo il più possibile al corpo in modo da ridurre al minimo le oscillazioni e decido di provare a salire un pezzo per vedere se è fattibile. Con estrema cautela, tastando più volte il terreno prima di poggiare i piedi e aiutandomi facendo presa sui tronchi degli alberi, pian piano risalgo fino a un plateau dove, grazie al GPS, riesco a trovare un sentiero che dopo 1 km mi porta alla fattoria di Linda.

 

Appena la vedo capisco che sono nel posto giusto, ma non per il luogo, per Linda una persona meravigliosa.

Entrando sento avvolgermi nella casa un’energia bellissima. Vive insieme al figlio e gestisce la fattoria. 

Iniziamo a parlare e finisce che chiacchieriamo tutta la sera passando dal parlare degli animali della fattoria alla spiritualità, dai viaggi all’importanza dei valori e degli ideali.

 

Un altro magico e bellissimo incontro di questo viaggio che porto nel cuore.

 

 


29 Tappa: Skaun - Øysand

 

Con il trucco suggeritomi da Linda di mettere la carta di giornale per tutta la notte dentro agli scarponi stamattina, seppure lerci, sono perfettamente asciutti. 

A malapena vedo il colore originale dello scarpone da quanta sabbia e terra sia ormai depositata sopra. Di certo questi scarponi sono la testimonianza di milioni di passi indelebili. 

 

Un abbraccio lungo e stretto con Linda per poi partire nella luce, verso Nord.

Sono gli ultimi circa 50 chilometri che farò in parte oggi e in parte domani e che questa volta mi separano non dalla destinazione di una tappa ma dalla meta finale, la Chiesa di Nidaros, sul fiordo di Trondheim.

 

In questi ultimi passi mi accompagneranno fino all’ultimo ancora dislivelli, foreste e laghi.

 

Attraversando le campagne di Skaun l’odore dei campi concimati e del bestiame è intenso e quasi insopportabile. Per fortuna la vista smorza il tanfo. 

 

Alcuni chilometri sull’asfalto mi portano alla bella chiesa di Skaun che intravvedevo già dalla cima della collina illuminata dal sole.

L’edificio risale al XIII secolo ed è in stile romanico. La chiesa di Skaun è l’unica in Norvegia ad avere conservato delle decorazioni cattoliche dopo la Riforma.

 

Avvicinandomi al fiordo di Gaulosen incontro i primi segni dell’autunno. Sono ormai a più di 700 chilometri da Oslo e qui il clima è molto più rigido e il vero freddo arriverà già a partire dalle prossime settimane.

Nelle foreste di betulla molte foglie sono già a terra, preludio di un autunno che incalza velocemente.

 

Speravo di aver esaurito il tema è invece incontro l’ennesima zona di fango mista ad acqua. Non oso immaginare come possa essere il sentiero nei giorni di pioggia. 

Incomincio poi a scendere vertiginosamente a valle. Ci sono alcune corde fissate tra un albero e l’altro per aiutarsi nello discesa ripida.

 

Attraverso poi una zona che sembra la valle dei ragni e delle ragnatele. Manco a dirlo apposta che all’improvviso mi trovo davanti ad un banco di nebbia densa e gelida. La sensazione è quasi tetra.

La visibilità si riduce tantissimo anche a breve distanza e mi tocca rallentare per vedere dove mettere i piedi dato che il sentiero è pieno di radici di grandi alberi e si scivola facilmente. 

La temperatura si abbassa nel giro di poche centinaia di metri a 5 o 6 gradi e inizio a sentire le mani che diventano fredde. Sembra la terra di nessuno. 

 

Quando finalmente dopo alcuni chilometri esco da questa specie di bunker di nebbia l’orizzonte si apre: sono arrivata sul Mare di Norvegia. 

 

Dopo 29 giorni di cammino ce l’ho fatta, sono arrivata sui fiordi. L’emozione è così forte e inarrestabile che mi scendono copiose le lacrime e sento scorrermi impetuosa la vita in ogni centimetro cubo del corpo, in ogni cellula. 

 

Scendo fino al livello del mare e lo costeggio  fino ad arrivare alla Gesthouse di Wenche che gestisce questi piccoli cottage sul mare. Un’attività di famiglia da generazioni.

 

Dopo cena mi siedo sulla riva a guardare il sole che scende sul fiordo con il solo rumore delle piccole onde che si infrangono sulla sabbia e le mie emozioni che respirano senza tempo. 

 

Domani è il grande giorno.

 

 


30 e ultima Tappa: Øysand - Chiesa di Nidaros (Trondheim)

 

Con il mare negli occhi e il giorno che nasce riprendo per l’ultima volta il sentiero.

E ancora una volta i campi di grano dorati ad accompagnarmi prima e una foresta dopo per l’ultimo saluto di questo viaggio prima di varcare la porta della città di Trondheim.

 

Un mese di cammino e un solo giorno di pioggia esclusa quella notturna che ovviamente non ha interferito. 

Per i Norvegesi è un miracolo. 

Wenche stamattina mi dice una cosa che mi fa venire i brividi “tu porti il sole”. 

Mi racconta che qui è piovuto per settimane fino a ieri e che le sembra impossibile che io abbia trovato ogni giorno sempre il sole sui miei passi.

Ne concludo che questa sia più che fortuna. Forse una magia bianca, bianchissima. 

O semplicemente la vita che mi ha sorriso e per questo le sono immensamente grata.

 

Quando ho fatto il mio primo cammino nel 2017 ricordo che camminavo per lo più per superare i miei limiti, per andare oltre, per misurarmi. 

Oggi, con il tempo, con l’età che ahimè avanza e con essa l’esperienza, ho capito che l’intraprendere questi cammini non mi porta tanto a superare i miei limiti quanto a conoscerli e riconoscerli, ad esplorarli e a rispettarli. 

Certo a volte può capitare di trovarsi in situazioni critiche o non previste in cui forse ci si spinge un pò oltre ma per il resto si tratta semplicemente di imparare a distinguere tra ciò che è un vero limite, e che và rispettato, e una resistenza che spesso ci è stata inculcata, che abita profondamente la nostra mente e che è così ben radicata nelle nostre credenze da farci convincere di essere limitati a prescindere e nascondendoci le nostre migliori capacità.

In parole povere: molti dei nostri limiti non sono reali e se non si impara a conoscerli non sapremo mai attraversarli e ci perderemo di sicuro grandi e profonde esperienze.

 

Da questo cammino mi porto a casa la consapevolezza che la nostra forza sempre e in ogni momento risieda in noi e mai nell’altro, in noi e mai nelle cose o nelle situazioni, in noi e mai fuori di noi.

Il potere, il timone ce l’abbiamo noi, per tutto il tempo di questo viaggio che si chiama vita.

Se non sappiamo di averlo o pensiamo di non poterlo avere di certo finiremo per cederlo ad altri o alle situazioni sbilanciando il nostro centro e perdendo l’equilibrio sul filo invisibile della vita. 

Camminare aiuta a riappropriarci di ciò che è già nostro perché ci connette ai posti da cui veniamo restituendoci la nostra parte originale. Come dire che la natura ci restituisce la nostra natura che invece la società cerca spesso di sradicarci sostituendola con espedienti e pellicole che non ci appartengono e che alla fine ci impacchettano sotto vuoto. 

 

Come ogni volta anche in questo cammino ho sentito nei miei passi mia madre, l’ho vista negli altri, l’ho ascoltata nel vento, nel sole, l’ho abbracciata negli alberi, l’ho accarezzata nelle foglie, mi ci sono seduta in grembo sui sassi. 

 

Non c’è stato un giorno in cui io abbia camminato sola perché soli non si è mai. C’è sempre qualcuno che amiamo, che abbiamo amato che ci accompagna nei passi della vita. Basta solo imparare a vedere il silenzio e ascoltare i segni. Si ho scritto giusto.

 

Il cammino è gioia, è toccarsi nell’anima, è sfiorare il cielo. Il cammino è fatica, è sofferenza, estasi, stupore, gratitudine.

Per capirlo fino in fondo bisogna iniziare a camminare. Perché non provarci? E’ il mio augurio per chi sente che vorrebbe iniziare a camminare ma, se…… troppi ma e troppi se. I limiti mentali!!! 

Cammina, adesso, domani, tra un mese. Ma pianifica e parti. Potrai sempre tornare indietro, ma sono certa che non lo farai e ti stupirai di non essere partito prima.

 

E allora eccomi qui davanti alla Chiesa di Nidaros dopo 30 giorni di cammino e 752 chilometri. Abbraccio il ceppo che segna zero chilometri e piango. Piango perché sono felice, perché so qui. E non sarei potuta essere altrove oggi. 

E dopo aver fatto tre giri attorno alla Chiesa, come vuole la tradizione medievale, entro. Sono davvero arrivata. 

 

Un’avventura solitaria nella luce abbagliante della Norvegia, verso Nord, in una terra talvolta inospitale e al contempo casa, fatta di foreste infinite, laghi specchiati, troll dispettosi e alberi che sorreggono il cielo.

 

Mi porto a casa silenzio, tempo e misura. Mi porto a casa quell’emozione viscerale e animica che mi fa sentire viva e parte di un tutto ben più grande della mia piccola vita. 

 

Questo cammino è stato il mio Everest dell’anima. 

 

E di certo partirò ancora e poi ancora, un giorno non troppo lontano, perché ho ancora tanta strada da fare dentro di me e per i chilometri dell’anima per i quali non si finisce davvero mai di camminare. Mai. 

Ma ora mi godo questo arrivo che anche oggi non è una fine me è un nuovo inizio. 

 
 
 

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Mar 04, 2024
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Il mio sogno!😀

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